Eleonora Rimolo su Apocryphal House/La casa apocrifa


 
 
da Laboratori Poesia
 
 

Immagini e suoni nella poesia di Rachel Slade si intrecciano con eleganza fino a creare un dipinto nel dipinto (la calendula delle calendule / nella tua campagna delle campagne): la sua abilità nel dare forma alle cose, ai colori, alle parole e a tutto quello che nella realtà appare come informe e muto ci permette di leggere versi la cui potenza simbolica è evidente (io vivo tra le densità […]/ io sono l’immenso candore dell’occhio / e il puntino di dolore). Rachel Slade chiama le cose col proprio nome, le dipinge con la propria struttura e cerca disperatamente in tal modo questa corrispondenza non sempre manifesta tra soggetto del canto e la sua definizione. Qual è il confine tra la verità delle cose e la loro rappresentazione (il tuo libro ha tanti fiori. alcuni veri, alcuni disegnati)? Il poeta se lo chiede quasi ossessivamente in ogni testo della raccolta, lasciando intendere che un intervallo incolmabile divide le due dimensioni – il reale e l’ideale: raccogliere la confusione a mani piene pare dunque l’unica strada percorribile per potersi muovere all’interno di una vischiosa  rete di voci, rami, presenze umane e animali dal tratto inquietante in cui siamo prigionieri. Lo spazio vuoto che separa, la distanza inspiegabile, sono elementi che ritornano nei versi di Rachel Slade e non risparmiano nemmeno la forza e la nobiltà del sentimento d’amore (Ci sono baratri da attraversare / tra di noi, anche se ti amo): tuttavia, se il desiderio ha un limite (Va oltre quello che possiamo / qui nel palmo semichiuso della vita / e del sonno e delle domande), cosa interporre allora tra la possibilità e il desiderio? Come dare colore, e quindi contorno, al nulla che separa, lacerando? È possibile riavvicinare i lembi di questa ferita aperta che è la vita, anche solo per un momento? C’è una piccola miniatura nel profondo dove il sole ti cade sul collo: probabilmente in quell’impercettibile, piccolissimo granello di esistenza si cela la materia da plasmare per poter creare un ponte di unione tra le cose, tra le persone lontane, nell’ infernale disordine delle pieghe. Ma quasi nulla è dato sapere con certezza. Esiste in definitiva un confine che pittura, poesia e memoria non potranno mai oltrepassare: la morte. In quel caso si è solo un’isola di neve e cose addormentate nella neve, e il nero intenso delle figure contenute nella plaquette sfuma sempre di più, fino a diventare un grigio tenue e a scomparire, fondendosi, nel bianco latte della pagina. Si strugge a questo punto l’autrice nella cecità più atroce; i versi si contraggono, la geometria dei disegni si infittisce: in un ultimo spasimo frenetico del wille schopenhaueriano Slade ammette di essere forma solida in campo metafisico deponendo le armi della conoscenza non per dichiarare la resa, ma per continuare una lotta parallela nel nome della poesia e dell’arte, unici strumenti capaci di contrastare la consunzione del tempo umano e di rendere ogni atto poetico e artistico una stella di pietra, dura ma luminosa, solida ma impalpabile, e pertanto miracolosa.

Eleonora Rimolo

 
 
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