Le distrazioni del viaggio – Annalisa Ciampalini

 
 


 
 

Le distrazioni del viaggio
Annalisa Ciampalini

Samuele Editore 2018, collana Scilla
prefazione di Monica Guerra

pag. 64
Isbn. 978-88-94944-04-4

12 €
spese postali 2 €
 
 

Una citazione di Tomas Tranströmer apre questa nuova raccolta di Annalisa Ciampalini, citazione che indica sin da subito al lettore lo sforzo, tanto sacro quanto arduo, che in questi versi tenta di compiere l’autrice: affacciarsi oltre il limite del sé. Non a caso la prima sezione del libro s’intitola Fuori da noi.
Con un linguaggio chiaro e preciso, che già caratterizzava la sua precedente opera: L’Assenza, l’autrice si sporge ben oltre i confini del conosciuto addentrandosi, in punta di piedi, nelle aree grigie dell’ignoto. Se la poesia in tale pubblicazione era indagine introspettiva tra le pieghe del dolore, biografico e universale, tentativo di dire la vita dopo una perdita o un abbandono, in questa nuova raccolta ci consegna un creato dove nulla è separato e a sé stante e dove lo stesso vuoto, a ben vedere, contiene in sé le tracce di un pieno primigenio.
L’oscurità deborda da La Notte – ultima sezione del libro e regno dell’immaginifico – affiorando sporadicamente nelle tre precedenti sezioni come portatrice di soluzioni che, paradossalmente, alla presenza della sola luce è impossibile avvistare. La tenebra accoglie il mistero, si fa indomita fonte necessaria alla visione d’insieme; conoscere la misura dell’ombra equivale al tentativo di approcciare l’inconoscibile, scovare l’anima-ombra delle cose, con la consapevolezza che qualsiasi forma di apprendimento terreno sarà comunque parziale. Il balsamo dell’onirico diviene fonte per sanare le ferite del quotidiano finanche della memoria, il sonno si fa luogo riparatore necessario non soltanto alla corporalità dell’individuo ma anche alla sua stessa psiche.

Monica Guerra

 
 
 
 
Amo le ragazze che studiano nell’oscurità
e smaniano per una soluzione,
per il numero giusto che riempie la pagina.
Amo le loro case che le guardano
e le coperte di lana variopinta.
Ripassano l’esperimento mentale
con la testa sprofondata nel cuscino.
Hanno lineamenti che seguono il pensiero
la bellezza indeterminata dell’universo.
 
 
 
 
 
 
Nel pomeriggio il pensiero
ha gli occhi spalancati per la sete
e la stessa stanchezza del sole
negli archi allungati del cielo.
Resta nelle stanze
il ronzio degli elettrodomestici.
Al davanzale della finestra
il tuo pensiero lento
cerca un rumore bianco,
t’inchioda nell’ossessione di un ricordo,
alle gonne fiorite di tua madre ragazza.
 
 
 
 
 
 
La superficie del lago s’increspa
per la caduta improvvisa di un sasso.
Nei cerchi perfetti dell’acqua
un fiore s’incarna,
ha la trasparenza del cristallo
e la voce minuta dell’aria.
Anni d’attesa per un fiore così,
anni di grigio pesante sopra ogni lago.
Ma solo nostra è la noia
e la placida direzione delle cose.
 
 
 
 
 
 
Hai imparato la pace degli alberi
e l’intesa muta col cielo.
Sai che la primavera e l’inverno
hanno forme diverse
e che ogni uomo ha un organo
devoto alle stagioni.
Mattina. Lui scende le scale pianissimo.
 
 
 
 
 
 
Qui la quercia mantiene il suo nome.
Sporge le chioma mentre il tronco
è a lato del sentiero. Pendenze
erbose e dappertutto sole.
Il fanciullo raduna il suo gregge, cerca
una fonte per placare la sete. Conosce
la misura delle ombre e delle ore.
La terra, la sua immobilità.
 
 
 
 
 
 
Tornerà l’aritmia dell’inconcepibile
e il momento vuoto, come scordarsi d’esistere.
Il sussulto prima della frammentazione
tornerà nella terra e negli organi di tutti.
Continueremo a non vedere lo spazio
che s’incurva a non credere la conchiglia
possa raccogliere il mare. Conteremo
soltanto le ore di luce, nel buio
grandi archi uniscono le case.