Mario Famularo su Le distrazioni del viaggio

  • Tempo di lettura:3 minuti di lettura


 
Da Laboratori Poesia
 
 

“Le distrazioni del viaggio” (Samuele Editore, 2018) e “L’assenza” (Ladolfi Editore, 2014), di Annalisa Ciampalini

 

Prima di parlare del nuovo libro di Annalisa Ciampalini, Le distrazioni del viaggio (Samuele Editore, 2018, pref. di Monica Guerra), vorrei soffermarmi sulla sua precedente pubblicazione di poesia, L’assenza (Ladolfi Editore, 2014, pref. di Giuliano Ladolfi), per ragioni che saranno chiare nel corso dell’esposizione.

In quei testi appaiono con evidenza, come sottolineato anche dal prefatore, i caratteri e le conseguenze di un’assenza bruciante sulla vita di ogni giorno, sulla percezione dell’esistenza e della realtà circostante, che si presenta muta e indifferente.

Questi caratteri vanno poi coniugati alla particolare formazione dell’autrice, insegnante di matematica, che inevitabilmente ne influenza la visione e il dettato.

Quando ho recensito le raccolte di Bruno Galluccio (qui), mi sono soffermato ampiamente su questo punto: La rivoluzione scientifica e tecnologica, e la progressiva rapidità delle sue conquiste, ha creato un inconscio affidamento nelle conquiste della scienza, e una proporzionale diffidenza verso le convinzioni metafisiche e fideistiche”; l’assenza di referenti metafisici, particolarmente accentuata dalla formazione scientifica, trasfigura facilmente il senso della perdita in un universo impersonale e insanabilmente distaccato e indifferente alla dimensione umana, accentuando la frattura esistenziale e costringendo a cercare una possibile soluzione, o rischiando di persuadere che non ve ne siano – e da qui il nichilismo, o quanto meno, il senso del vuoto.

Se nella raccolta precedente i riferimenti a uno specifico lessico tecnico erano più diretti ed espliciti (tra neutrini, muoni e pioni), nel lavoro più recente essi sfumano e si fanno estremamente rarefatti, diventando una serie di rimandi posizionati con cura (ad esempio, lo spazio che si incurva, la necessità di soffermarsi sulla densità del buio, la tendenza alla misura), conservando però i tratti distintivi della visione scientifica cui ho accennato.

Ne L’assenza questi elementi si uniscono a un’esperienza di perdita, coniugata a un senso di abbandono, che brucia in modo feroce: “Resta vera / la mano che vuoi e non ti tocca … Il profondo silenzio attorno, / l’immenso, inutile spazio … scansione di un tempo / che deve solo finire … tutto è rimasto vuoto”. Quanto detto appare con evidenza, ovvero: la trasfigurazione del sentimento della perdita in un universo silenzioso e inutile – vuoto.

Mario Famularo

 
 
Continua su Laboratori Poesia