LABORATORI CRITICI n.7

LUCE DAL VUOTO

Rivista semestrale di poesia e percorsi letterari

Anno IV, Vol. 7, luglio 2025

Versione cartacea
Pagine 126
Prezzo 15 euro
ISBN 979-12-81825-31-4

Versione online Sbac!
Prezzo 7 euro

In questo numero:

Giorgio Bassani, Mario Benedetti, Carlo Bordini, Alessandro Broggi, Ignazio Buttitta, Patrizia Cavalli, Maurizio Cucchi, Antonio Delfini, Laura Di Corcia, Pasquale Di Palmo, Franco Fortini, Gabriele Galloni, Giuseppe Grattacaso, Guy Helminger, Filippo La Porta, Pier Francesco Meneghini, Alessandro Moscè, Giampiero Neri, Rossana Ombres, Francesco Ottonello, Lorenzo Pataro, Roberto Pazzi, Marco Pelliccioli, Pietro Polverini, Massimo Raffaeli, Francesco Scarabicchi, Stefano Simoncelli, Mattia Tarantino, Paolo Volponi

Comitato scientifico:

Sergia Adamo, Alberto Bertoni, Maria Borio, Franco Buffoni, Monica Farnetti, Alberto Fraccacreta, Giancarlo Pontiggia, Chiara Portesine, Rodolfo Zucco

Direttore Responsabile: Matteo Bianchi

Redazione:

Matteo Bianchi, Roberto Cescon, Chiara Evangelista, Riccardo Frolloni, Simone Gambacorta, Claudia Mirrione, Niccolò Nisivoccia, Daniele Serafini

Hanno collaborato:

Marcello Azzi, Maurizio Cucchi, Paola Del Zoppo, Laura Di Corcia, Pasquale Di Palmo, Giuseppe Grattacaso, Guy Helminger, Filippo La Porta, Alessandro Moscè, Francesco Ottonello, Marco Pelliccioli, Massimo Raffaeli, Ilaria Roman, Mattia Tarantino


INDICE

Poesie contro la disillusione: scrivere, dimenticare, brillare.
Editoriale di Matteo Bianchi

Dentro la vita, l'umana gloria di Mario Benedetti
di Roberto Cescon

Gabriele Galloni: il figlio della gloria
di Alessandro Moscè

Un poeta romanico (tredici punti su Carlo Bordini)
di Filippo La Porta

Francesco Scarabicchi di profilo
di Massimo Raffaeli

Un’improvvisa accensione di luce. Su Patrizia Cavalli
di Maurizio Cucchi

Lo sguardo reticente di Giampiero Neri
di Marco Pelliccioli

Sulla poesia di Pietro Polverini oltre l’esordio (2012-2021)
di Francesco Ottonello

Per Roberto Pazzi. Poeta
di Giancarlo Pontiggia

Il percorso letterario di Alessandro Broggi
di Laura Di Corcia

Lorenzo Pataro e la grazia degli amuleti
di Giuseppe Grattacaso

Un’aspra fedeltà alle Muse. Appunti sull’ultimo Simoncelli
di Pasquale Di Palmo

Questo è un incantesimo. Frammenti per gli amici
di Mattia Tarantino

Il ruolo del poeta secondo Giorgio Bassani: Fortini, Delfini e Buttitta
a cura di Marcello Azzi

Tra astrofisica e religione, un tentativo di posizionamento della poesia
di Guy Helminger, a cura di Maria Borio

Intorno al vuoto: il ruolo odierno del poeta
Il fondo di Alessandro Canzian

Schede a cura di Sandro Abruzzese, Claudia Mirrione, Sara Vergari


Dall'Editoriale di Matteo Bianchi (direttore responsabile)

Testimoniare la germinazione di un seme nel vuoto, per il vuoto. Il settimo numero di “Laboratori critici” persegue una ricerca poetica – finanche inconsapevole, ma comunque necessaria – di un tacito confronto con la realtà, specialmente con la ferocia linguistica dell’ultimo lustro. Le poetiche di alcuni autori scomparsi dal 2020 a oggi e qui dipanate in ordine di sparizione, quelle di Mario Benedetti, Gabriele Galloni, Carlo Bordini, Francesco Scarabicchi, Patrizia Cavalli, Giampiero Neri, Pietro Polverini, Roberto Pazzi, Alessandro Broggi, Lorenzo Pataro, Stefano Simoncelli, superano loro malgrado la singolarità di un momento che poteva essere fine a se stesso, benché nessun momento lo sia, mai. E i poeti in questione, con i loro connotati in versi, hanno ambito con approcci differenti non solo all’alloro di un canone agognato, che è stato (definitivamente) sconfessato dall’arresto pandemico e dalla conseguente accelerazione virtuale, ma al coraggio di mettersi in relazione oltre il presente. Come luci inattese dal vuoto. Non è un caso che i titoli dei due interventi in apertura condividano la parola “gloria”, da Benedetti a Galloni, di generazione in generazione; d’altronde, la voce poetica di Benedetti ha esplorato la precarietà dell’esistenza umana, mostrando attenzione per i gesti essenziali, i corpi liberi da costrutti e le sofferenze quotidiane. Volutamente lontano da qualsivoglia eco epica, ha osservato la condizione umana con pudore e compassione nella sua disarmante semplicità. La sua è una gloria tutt’altro che trionfalistica o retorica, bensì una forma di splendore discreto che il poeta restituisce anche alle vite più fragili e marginali. In questo senso, l’“umana gloria” di Benedetti ricade sulla produzione di Galloni quasi fosse frutto di una predestinazione, se non di una “beata coincidenza”, come una dignità nascosta nelle pieghe del vivere comune che la poesia può mettere in luce e riconoscere proprio laddove sembra esserci solo mera fatica, o il peso soffocante della perdita.
Al pari di Giorgio Bassani con la sua concezione di poesia nel primo boom economico italiano, anche Roberto Pazzi gridava al miracolo di fronte a un quieto, caldo e classico splendore di immagini tra i versi; quasi il poeta di Bocca di Magra, ma ferrarese d’elezione, si trovasse ogni volta davvero al cospetto di un miracolo di restituzione, come sempre del resto, quando la poesia autentica si affaccia all’orizzonte della nostra buia vita, e la illumina: e che non valga la pena di farsi garanti del più che diffuso sottofondo di angoscia esistenziale, di orrore e di nevrosi che ancora una volta ha reso possibile, e legittimo, l’incanto.

Un canone al singolare
Pur essendo nell’epoca della riproduzione tecnica, della moltiplicazione di massa, della copia delle copie delle copie… ciò per la poesia non vale, o almeno per ciò che questa redazione vuole intendere. E così, contraddicendo l’oracolare Jabès, per cui un libro supera i limiti del proprio spazio offrendo a se stesso «l’infinito di uno spazio proibito», stiamo con il senza-dio Gottfried Benn, secondo il quale «per ogni nuova poesia occorre un orientamento nuovo». Un’asserzione talmente semplice da far sì che si rischi di non vedere il mondo che essa dischiude: nessuna poesia faccia da modello, nessuna forma diventi un idolo. Tale affermazione, infatti, va letta insieme a un rifiuto di preghiera quanto di bestemmia, entrambe troppo piene di sé per essere pronunciate dal nulla individuale. Dove sta, allora, la scrittura che si incide sotto e oltre il senso costituito, storico, dominante, se non nel casuale e necessario inguantarsi degli ultimi (anche cronologicamente) poeti qui raccolti e del loro segno che fa senza fare, nel sacrificio della mano catturata dalla penna?
I poeti rientrati in queste pagine hanno tessuto con le parole una coerenza di testo con testo, una struttura insomma, o meglio un’identità immaginale del cui costituirsi come maschera apotropaica sono magari consci – non sempre, né ciò è comunque necessario. Con lei addosso hanno partecipato al rito sociale della produzione letteraria anche quando agivano per essere rifiutati, basti pensare a Broggi e alla sua estrema ricerca di autenticità: «Salpare, non scendere a riva per contrattare o speculare», sosteneva Roberto Roversi imperterrito. I poeti trattenuti leggono e dimenticano, scrivono e dimenticano. Scrivono, riscrivono, perdono, si perdono. Ma la coerenza di ciascuna cifra stilistica è in tutti riconoscibile nella dismisura e insieme debolezza di Pazzi, nella tensione tra interdetto e assalto al limite di Cavalli, nella fedeltà al demone sconosciuto e al principio del piacere di Simoncelli.