SPECIALE SALONE DEL LIBRO DI TORINO: La vita in dissolvenza su Laboratori Poesia


 
 
da Laboratori Poesia
 
 

C’è una grazia linguistica non comune nella poesia-prosa di Lucianna Argentino che riesce nell’ampia e complessa composizione “La vita in dissolvenza” a fornire una prova convincente e riuscita di perfetta immedesimazione nel dolore altrui rendendo delle protagoniste reali il fiore puro dell’innocenza e del patimento. Con la sua narrazione fluida, intercalata qui e là dai singulti della mente e del cuore, l’autrice affronta di petto i drammi di donne sofferenti (con un’efficace tecnica contrappuntistica nel primo ‘quadro’), in monologhi che colpiscono per la chiarezza e nitidezza di fondo. Nei versi si susseguono cadute fragorose e risalite verso la luce in un caleidoscopio di sensazioni, dove carne e anima “dialogano” a distanza con strappi laceranti e riconciliazioni. Si viaggia come in un girone dantesco con la narratrice che si fa strada accompagnandoci in un percorso irto di ostacoli e di malombre. La raffinatezza stilistica dell’opera si sposa con la ricercatezza della parola, con l’incessante studio etimologico e l’attenzione pervicace al logos, cifre ormai consuete che connotano la produzione di Argentino tanto nella poesia quanto nella prosa: emerge una sapienza “altra” rispetto a questo nostro tempo di superficiale intellettualismo, che permette di decifrare vicende realmente accadute rendendole palcoscenico, sfondo, trama, scenografia, per le quali nessuna parola che non sia sufficientemente meditata è posta a sostanza del dire. Il sé “profanato” di Valentina è presente, è qui in tutta la sua evidenza, una prova dell’assenza di Dio: forse in questa, tra le quattro composizioni raccolte ne “La vita in dissolvenza”, maggiore è la visione del baratro a cui può condurre l’affronto verso un’esistenza, l’inenarrabile che si palesa in tutta la sua acuminata disamina, Descensus ad Inferos di straordinaria, drammatica forza evocativa. Si rileva un ricorso costante a figure mitologiche o bibliche per suffragare o delineare concetti e situazioni: il tempo in questi evocativi versi di Argentino appare una costante sospensione tra un dolore e l’altro, un travaglio subìto e la tragedia destinata a compiersi. Eppure, di fronte allo scandalo della sofferenza, la poesia (lo dimostra in particolare il monologo “1941”) può raccogliere attorno a sé nomi ed esistenze, trasfigurarle, sublimarne la lontananza per ricomporre e celebrare in un’architettura dalle elaborare forme tutta la loro essenza e drammatica bellezza.

Federico Migliorati

 
 
 
 
Continua su Laboratori Poesia