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Piazzale senza nome

Eros e Thanatos sono due temi tra i più frequentati dai poeti di tutti i tempi, il secondo forse anche più del primo con la complessità che l’attraversa ricca di componenti simboliche, di significati che accomunano culture e coscienze, di valori che si intersecano e si ribaltano in contesti e punti di vista che, eppure, convivono. La rappresentazione della morte diventa, quindi e immancabilmente, anche una scalata alle visioni degli autori che ne danno una loro interpretazione: la morte come destino naturale dell’uomo che tuttavia si riscatta dall’oblio con la memoria e la partecipazione attiva alla vita della società, è il pensiero che ci lascia il Foscolo; per Manzoni lo strumento di morte esce con tutta la sua prepotenza nei Promessi sposi tramite la peste, considerata un castigo di Dio da molti ma non completamente accolta come tale dall’autore, che lascerà tracce di dubbio nel percorso del romanzo, attraverso la voce dei vari protagonisti; la morte è un male inevitabile a cui è necessario rassegnarsi, dice Leopardi, pur dandole una connotazione positiva rispetto alla vita e definendola come un punto che segna la fine del dolore. Potremmo continuare a lungo a portare testimonianze sul tema, ma ciò che preme sottolineare è proprio la partecipazione dei poeti alla dimensione della morte stessa, che diventa, per certuni, fonte di riflessione e ricerca inesauribile.
 
Piazzale senza nome, di Luigia Sorrentino, è un’opera che può essere annoverata in questo filone, se pure con tutte le caratteristiche che la modernità richiede a un testo di poesia contemporanea: la sua testimonianza è di fatto rivolta, nel rilievo che viene attribuito alle voci di chi non c’è più, qualunque sia il motivo della scomparsa, alle fasi che a questa si susseguono: l’incredulità, l’inaccettabilità, il tentativo di sopravvivenza al dolore, il riconoscimento infine dell’approdo o del naufragio – precisa in questo senso la citazione di Plutarco a exergo dell’opera, tra l’altro dedicata al padre dell’autrice recentemente scomparso –  come limiti indispensabili della finitudine umana, la capacità di riuscire a non dimenticare concretizzata nei versi che resteranno a futura memoria. È davvero in questo senso che l’esperienza della morte viene riproposta anche in modalità orrorifica, quando la bellezza di certe giovani vite si accosta a macabre esecuzioni o inferte violenze – e vengono in mente certi racconti di Camillo Boito laddove la morte e l’orrido sono sempre accompagnati e legati all’amore e alla bellezza – alla comparsa irrefrenabile di sangue che macchia la neve, di carne e di vene che si strappano, di respiri ormai esalati nei nostri luoghi quotidiani quali piazze, strade, giardini, nella luce come nelle tenebre. Ora è un’overdose, ora una violenza su una giovane donna, ora un incidente d’auto o moto, ora una morte arrivata senza preavviso ad accompagnare le parole che, in un rilancio ad effetto di immagini e scenari aperti sulle evidenze, cercano di essere compassionevoli senza nascondere la tragicità dell’evento, senza coprire la sofferenza in ogni suo aspetto più recondito: su tutto il giardino neve / dilatata / silenzio armato nelle pupille / neve, tutta nel sangue / narici oltraggiate / bianco e nero / l’incedere violento / del battito cardiaco / si chiude su di sé / nella luminosa potenza / avviene l’incontro.
 
La scrittura che la Sorrentino ci propone per l’incontro con i protagonisti e le loro morti – che, a dire il vero, diventano a poco a poco anche le nostre, con una sorta di transfert che ci coinvolge emotivamente – alterna nel libro momenti di poesia a momenti di prosa, e se la prima è il sentire profondo che emerge dall’inconscio, capace di scavare nelle viscere dei sentimenti chiedendo di mettere in relazione la materia sofferta e implacabile dell’esperienza vissuta, in prima persona o di riflesso, con le stesse reazioni dell’umano sentire, la seconda è invece un viatico, un modus operandi che segna con precisione chirurgica i passaggi tratti dal reale, tra i quali domina su tutti quello in chiusura del libro, che consegna al lettore i versi più emblematici sulla figura del padre, con il riconoscimento degli oggetti più cari spiccando, metodologicamente parlando, l’uso del correlativo oggettivo coniato da Elliot, ovvero il legame tra gli oggetti stessi e l’emozione che ne nasce alla loro presenza: Tu sei negli utensili che usavi per diserbare il giardino: vanga, zappa, forbici, rastrello, cesoie. Il tuo antico cuore riposa a una distanza breve, perpetua, imponente come la musica, una pala che scava il sole.
 

Cinzia Demi

 
 
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Samuele Editor

Samuele Editore nasce nel 2008 a Pordenone, nel nord est Italia. La stessa città di Pordenonelegge, una della più importanti manifestazioni letterarie nazionali. E città vicino a Casarsa, la terra di Pier Paolo Pasolini. Samuele Editore nasce riprendendo il marchio storico della Tipografia di Alvisopoli fondata nel 1810 da Nicolò Bettoni. La vecchia Tipografia nella sua storia pubblicò molte opere importanti come Le Api panacridi di Alvisopoli (1811, scritta per il figlio di Napoleone Bonaparte) di Vincenzo Monti. Poeta, scrittore, drammaturgo, traduttore tra i massimi esponenti del Neo Classicismo italiano. La Tipografia, che aveva per logo un’ape cerchiata da un tondo con il motto Utile Dulci, lavorò fino al 1852, anno della sua chiusura. Samuele Editore prende l’eredità di quel grandissimo momento storico prendendo gli stessi ideali e gli stessi obiettivi di Nicolò Bettoni. Intenzione bene esemplificata dal motto Utile dulci che Samuele Editore riprende a manifesto del suo lavoro. Si tratta infatti di un passo oraziano tratto dall’Ars poetica (13 a.c.): “Omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci, Lectorem delectando pariterque monendo” – “ha avuto ogni voto colui che ha saputo unire l’utile al dolce, dilettando e nello stesso tempo ammonendo il lettore”. Lo stesso passo viene ripreso nel XVIII secolo dall’Illuminismo italiano col significato di “il lavoro e l’arte sono fondamento di una vita serena”. Ripreso nello stesso significato anche dalla tipografia di Nicolò Bettoni, è adesso concetto fondante e continuamente ispiratore della ricerca poetica e delle pubblicazioni di Samuele Editore. Già dopo pochi anni di attività Samuele Editore si è imposto all’attenzione della cultura nazionale lavorando con i maggiori esponenti della poesia, del giornalismo, della televisione italiana. Con un lavoro di promozione continuo sia con manifestazioni proposte dalla Casa Editrice (a Pordenone, Trieste, Venezia, Milano, Torino, Roma, Napoli, eccetera) sia con poartecipazione a Festival importanti (Pordenonelegge, Fiera del Libro di Torino, Ritratti di Poesia di Roma) sia con newsletter e pubblicità settimanali in internet, Samuele Editore è considerato uno dei migliori editori del settore Poesia in Italia e vanta una presenza nei maggiori giornali nazionali quali Il corriere della sera, L’espresso, e continue recensioni nella famosissima rivista Poesia (la maggiore rivista italiana del settore). Col desiderio di aumentare la conoscenza della Poesia italiana e del mondo, a maggio 2013 Samuele Editore apre un ufficio internazionale dedicato a quegli autori che intendono far leggere le proprie opere al pubblico e ai poeti italiani, da sempre unici e importantissimi nella poesia mondiale. Con l’esperienza di un ottimo libro di poesie inglesi tradotte in italiano (Patrick Williamson) e del maggior poeta vietnamita vivente (Nguyen Chi Trung) Samuele Editore si propone di tradurre e proporre in doppia lingua le opere più meritevoli di autori non italiani, continuando la ricerca delle grandi opere poetiche di autori famosi e non famosi, capaci però di scrivere grandi libri. In questo si inscrive la partecipazione, nel 2014, al New York Poetry Festival. Con la grandissima convinzione che la Poesia può diventare ponte internazionale tra le persone, per farle parlare, per farle capire, creando cultura.