LABORATORI CRITICI n.1

UN CONTEMPORANEO SENZA MARGINI

Rivista semestrale di poesia e percorsi letterari

Anno I, Vol. I, Maggio 2022

Versione cartacea
Pagine 160
Prezzo 13 euro
ISBN 978-88-94944-61-7

 
Versione online Sbac!
Free

 

 

In questo numero ci siamo occupati di:

Marco Balzano, Giorgio Bassani, Paul Celan, Gianni Celati, Claudio Damiani, Ivano Ferrari, Valerio Magrelli, Daniele Mencarelli, Pier Paolo Pasolini, Antonio Prete, Silvia Righi, Valeria Rossella, Timothy Smith, Mario Socrate, Marco Sonzogni, Mary Barbara Tolusso, William Wall, María Zambrano

Redazione:

Angelo Andreotti, Alberto Bertoni, Matteo Bianchi (direttore responsabile), Gisella Blanco, Chiara Evangelista, Mario Famularo, Alberto Fraccacreta, Riccardo Frolloni, Simone Gambacorta, Niccolò Nisivoccia, Daniele Serafini

Hanno collaborato:

Fabrizio Bregoli, Maurizio Cucchi, Adele D’Arcangelo, Tommaso Di Dio, Tommaso Di Francesco, Francesco Franchella, Valerio Magrelli, Daniele Mencarelli, Federico Migliorati, Daniela Pericone, Daniele Piccini, Antonio Prete, Silvia Righi, Timothy Smith, Marco Sonzogni, Dario Talarico, Mary Barbara Tolusso, Arianna Vartolo, Gian Mario Villalta, William Wall


INDICE

 
Una critica senza margini e la presunta libertà dei contemporanei
Editoriale di Matteo Bianchi
 
Musica “leggera” ed equivoci: né canzoni né poesia
di Maurizio Cucchi
 
Tutto purché funzioni. Appunti intorno ad alcuni libri di poesia di autori nati negli anni ‘90
di Tommaso Di Dio
 
La funzione della poesia tra egolatria e crudeltà. Una conversazione con Antonio Prete
di Angelo Andreotti
 
Figure retoriche e linguaggi attuali in poesia. Una conversazione con Valerio Magrelli
di Gisella Blanco
 
La poetica di Ivano Ferrari
di Mary Barbara Tolusso
 
La parola della poesia e l’assenza da sé di Paul Celan e María Zambrano
di Niccolò Nisivoccia
 
Una parola al confine: premesse per un progetto tra Regione FVG e pordenonelegge per la poesia
di Gian Mario Villalta
 
Su Mario Socrate
di Tommaso Di Francesco
 
Miglior acque. 33 poeti neozelandesi e italiani rispondono al Purgatorio di Dante
di Marco Sonzogni e Timothy Smith
 
La speranza salvifica: tre inediti di William Wall
di Daniele Serafini
 
Contro la guerra. Considerazioni in versi (e non)
di Alberto Bertoni
 
Ai limiti del presente. Inediti di Silvia Righi e Daniele Mencarelli
a cura di Matteo Bianchi
 
Lo scaffale di Poesia
     Marco Balzano, Nature umane, Einaudi, 2022 - recensione di Alberto Fraccacreta
     Claudio Damiani, Prima di nascere, Fazi, 2022 - recensione di Simone Gambacorta
     Mary Barbara Tolusso, Apolide, Mondadori, 2022 - recensione di Niccolò Nisivoccia
     Valeria Rossella, Quello che vedo, Interlina, 2021 - recensione di Daniele Piccini
 
Mille battute
a cura della redazione di Laboratori Poesia
     Nicola Bultrini, 64 sonetti, Fuorilinea, 2021 - recensione di Gisella Blanco
     Isacco Turina, Non come luce, Terra d'Ulivi, 2021 - recensione di Dario Talarico
     Franca Grisoni, Le crepe, Samuele Editore-Pordenonelegge, 2021 - recensione di Fabrizio Bregoli
     Eleonora Rimolo, Prossimo e remoto, PeQuod, 2022 - recensione di Mario Famularo
     Fernanda Romagnoli, La folle tentazione dell'eterno, Interno Poesia, 2022 - recensione di Federico Migliorati
     Giorgiomaria Cornelio, La consegna delle braci, Luca Sossella Editore - recensione di Arianna Vartolo
     Gianluca D'andrea, Nella spirale (Stagioni di una catastrofe), Industria & Letteratura, 2021 - recensione di Daniela Pericone
 
Il contesto. Bologna e la poesia: Lo Spazio Letterario si presenta
di Riccardo Frolloni
 
Lettera al Direttore. Viaggio informale nella poetica di Giorgio Bassani da Parigi a Ferrara
di Francesco Franchella
 


UNA CRITICA SENZA MARGINI E LA PRESUNTA LIBERTÀ DEI CONTEMPORANEI

Editoriale di Matteo Bianchi

Matteo Bianchi - credits Rai Cultura

Nei primi giorni di maggio, «nel lampione che si spegne all’alba», si è esaurita la viandanza di Biancamaria Frabotta, la sua necessità esemplare di non fermarsi, ma di spostare lo sguardo su piani diversi del reale e su come esso si trasformi, alla maniera dell’Angelus Novus trattenuto da Benjamin dall’omonima stampa di Klee, angelo rivolto al passato pur andando verso il futuro. In questa oscillazione contradditoria quanto travagliata si circoscrive la poetica di Frabotta che, ripetutamente, si è divisa tra effimero ed eterno. La sua viandanza è uno spostamento continuo dell’asse linguistico e il titolo Da mani mortali (Mondadori, 2012) lo testimonia: la poeta custodisce e modella il linguaggio – direbbe Agamben – affinché si possa trasmettere. La sua voce è sempre stata accogliente, ma lucidamente distante: sino all’ultimo si è riconosciuta nel saggio della Arendt, Vita Activa (1964), considerando l’esperienza poetica una parte irrinunciabile dell’esistenza. Il pensiero femminista la portò intimamente a entrare in conflitto con gli uomini amati logorandola, tanto da intrecciarsi profondamente ai suoi versi: per lei la poesia, tramite una forma puntuale, poteva coniugare idea ed emozione, modificando la realtà e non adattandosi a rappresentarla tout court. D’altronde, la letteratura insegna che lo stile, ossia l’interiorizzazione di una serie canonizzata di figure metriche e retoriche, è necessaria a garantire la sostanza, il significato di un testo, specie quando mancano le risorse temporali per indagarlo.

[...]

Presentare un anno di lavoro redazionale alla 34esima edizione del Salone del Libro di Torino, grazie all’ospitalità della Fondazione Pordenonelegge, ha alimentato uno scambio di vedute e di considerazioni sul pubblico odierno della poesia. Scambio favorito dagli spunti di Gisella Blanco e dal suo studio incessante delle case editrici sul mensile “Leggere:tutti”. Dando per assodato che il genere poetico ne valichi innumerevoli altri, mettendoli in relazione oltre i rispettivi vincoli impliciti ed espressivi – così cinema, teatro e fotografia – il nevo che evidenzia Cucchi nei confronti delle “canzonette” è assimilabile a quello che Berardinelli e Cordelli sollecitano nella nuova edizione de Il pubblico della poesia (Castelvecchi, 2015) e che Marchesini omaggia velatamente nel suddetto articolo. È un problema di fruitori non più avvezzi ad allenare uno spirito critico, figli di una società assoggettata al consumo istantaneo che investe tutto nell’intrattenimento e si nasconde dietro a opinionisti e a varietà, che fa “di tutto un po’” il suo credo.

Se, per Lavagetto, sino agli anni Novanta e prima che si stabilizzasse la rete dei social il lettore-consumatore era veicolato dalla credibilità dei cataloghi editoriali e dagli autori-star, adesso l’industria letteraria patisce una dinamica del consumo più convulsa, ma senza i vagli dei gruppi elitari e consolidati che svolgono ricerca dentro e fuori dalle università, né delle riviste specializzate, «insomma di esperienze non del tutto razionalizzate in senso economico o burocratico”, puntualizza Marchesini. Invece, in conclusione alla Mappa immaginaria della poesia italiana contemporanea (Il Saggiatore, 2022), Laura Pugno avvalora la tesi di Gianluigi Simonetti, il quale assevera l’iperbole “poesia di massa” e dà per spacciato il trono della tradizione: da un lato imperversano le frottole di Arminio e Catalano, dall’altro Feltrinelli azzarda un’antologia altisonante curata da quattro insolite mani, quelle di Nicola Crocetti e Jovanotti, per arrivare d’estate sotto più ombrelloni possibili con Poesie da spiaggia (Crocetti, 2022). Negli occhi del lettore, infine, si scorge una sensazione di isolamento e di marginalità provocata dalla sparizione della dominante lirica ed egotica che ha reso, per secoli, particolareggiata la nostra produzione poetica, oggi appiattita in slogan e luoghi comuni.

Il nostro semestrale si è ampliato con la nascita di tre nuove rubriche: “Lo scaffale”, tributo palese ai fasti di “Poesia” prima dell’ingresso in Feltrinelli, e “Mille battute”, curata direttamente dai redattori del litblog Laboratoripoesia.it, che si occuperanno rispettivamente di recensire e segnalare le novità editoriali di poesia e saggistica dell’ultimo biennio; mentre “Il contesto” introdurrà di volta in volta eventi o situazioni letterarie particolarmente fervide, così “Lo Spazio Letterario” di Bologna, rifondato in contrapposizione al Centro di poesia contemporanea dell’UniBo e a una divergenza insormontabile di intenti tra il suo deus ex machina, Davide Rondoni, l’allora presidente Riccardo Frolloni e Andrea Donaera, i quali si contrapposero legittimamente alla campagna elettorale che Rondoni perseguiva in ogni ambito nel corso del 2019, senza distinzione né ritegno. Un principio etico, come l’imparzialità ideologica e partitica finanche si rivestano ruoli formativi, non può essere immolato solo perché conveniente.


FIGURE RETORICHE E LINGUAGGI ATTUALI IN POESIA. UNA CONVERSAZIONE CON VALERIO MAGRELLI

di Gisella Blanco

Valerio Magrelli - credits Dino Ignani

Cominciamo parlando della metafora. La metafora è un atto letterario e poietico che implica di trasportare il lettore (e sé stessi) da una dimensione gnoseologica, ontologica, all’altra. Ortega y Gasset, per citare un filosofo del secolo scorso, aveva parlato della metafora come una delle massime espressioni della disumanizzazione dell’arte, probabilmente in modo provocatorio. A partire da un immaginario pre-linguistico, la metafora accompagna la poesia in ogni tempo.

«Ricordo che mi colpirono gli studi di Hans Blumenberg sulla metaforologia. Confesso, però, che è un punto su cui non mi sono soffermato molto. Devo dire che, in particolare nel primo libro, è un meccanismo di cui io faccio grande uso ma, probabilmente, ho continuato anche in seguito. Mi piaceva un particolare tipo di impiego delle metafore, la cosiddetta metafora filata, cioè quella che al di là di un’unica apparizione viene proseguita anche lungo il testo.
Per il resto, per me è fondamentale questa figura perché lavora sull’idea di corto circuito linguistico a cui sono particolarmente legato, ossia unire cose distanti e provocare un effetto sorpresa proprio in questo senso.
Posso dire che il primo libro era proprio fortemente basato su questo gioco di metafora, di nessi, di collegamenti, ma non sulla base di un progetto bensì sullo slancio, sul piacere, sul gusto compositivo. Ho sempre parlato di una poetica a trazione posteriore, come si trattasse di un’automobile. Ho esordito studiando il dadaismo, e ho sempre detestato qualsiasi forma di poetica a trazione anteriore, cioè quel tipo di poetica assertiva, predittiva, che dà gli ordini proprio come nelle avanguardie storiche. Questo per me è intollerabile. Da questo punto di vista mi ritengo un anarchico della pratica artistica: non ci devono essere limiti, non ci devono essere indicazioni, linee di regime o linee di partito da seguire. Quindi non era un progetto, quello dell’uso della metafora, ma il mio modo naturale di scrivere».

D’altro canto, questa caratteristica delle avanguardie è forse quella che le ha confinate al tempo in cui si sono manifestate, proseguendo più come oggetti di studio che come reale vita artistica. Vorrei parlare, adesso, di citazionismo. In poesia, essendo una scelta stilistica che riguarda sia il concetto che l’ermeneutica dell’opera stessa, molto spesso è divisiva.

«Innanzitutto, io prevedo due forme di citazionismo: allotropa, cioè che viene da fuori, e omeopata, che viene da me. Faccio quindi ricorso a due tipi di citazioni: quelle di altri scrittori, e quelle di altre mie opere. Per quelle che attengono ad altri scrittori, a sua volta ci sono due criteri. A volte, la citazione fa da miccia, da rampa di lancio, da spunto per il testo. Altre volte, ed è tra l’altro la situazione più frequente, scrivo un testo e ricordo di aver messo da parte una citazione che si attaglia perfettamente a quel testo. Per esempio, nelle Cavie, che è stata la raccolta di sei raccolte, ho aggiunto molte citazioni a poesie preesistenti. Alcune hanno dell’incredibile: c’è una poesia in cui parlo di una ragazza che si divide in tre parti, e questo mi ha fatto venire in mente, anni dopo averla scritta, una pagina di Truman Capote nella quale una maestra rimprovera a una ragazza di scrivere con tre calligrafie differenti. In questo caso ho recuperato una citazione molto dopo aver scritto la poesia, altre volte invece la citazione viene prima. In ogni caso a me piace enormemente arricchire in questa maniera. Perlopiù non sono quasi mai citazioni interne al testo, sono occhielli, esergo, una frase staccata che, a mo’ di titolo, orienta il testo. Questo è il tipo classico di ricorso alla citazione. Poi c’è l’autocitazione che, nel mio ultimo libro Exfanzia, addirittura arriva alla riproposizione in due casi di una poesia vecchia di vent’anni. In quel caso ho avanzato un altro tipo di metafora e parlo di autotrasfusione. È come se, per certi versi, arricchissi il mio organismo testuale, il mio corpus, con un altro tipo di elemento che, però, viene da me. Come se io mi togliessi il sangue per poi operare una trasfusione, più tardi. Si tenga presente che mi considero estremamente alieno dal postmoderno. Per questo è sangue, non è rappresentazione o manipolazione postmoderna, io mi considero ancora pre-arcaico, con una battuta, più che postmoderno».

[...]