Istantanee di un amor de lonh – Beppe Cavatorta



 
 
Istantanee di un Amor de lonh
Beppe Cavatorta
Pagine 110
Prezzo 12 euro
ISBN 978-88-94944-26-6
 
 


 
 
Versione online Sbac!
Prezzo 4 euro


 
 

Nel celebre e inquietante racconto The Yellow Wallpaper (1899), Charlotte Perkins Gilman sviluppa quello che potremmo chiamare il paradigma della stanza chiusa, mostrando come la natura stessa della situazione della protagonista, confinata in una camera da cui non può uscire, la porti a liberare una donna segreta e nuova, prigioniera dietro la carta da parati (la se stessa più autentica?). Perkins Gilman, d’altronde, consigliata da un neurologo al riposo assoluto, che escludesse anche il minimo sforzo di tipo intellettuale e senza poter prendere in mano “penna, pennello o matita”, dichiarò in un articolo del 1913 di aver composto il breve testo per dimostrare quanto quella chiusura forzata l’avesse spinta sull’orlo della follia.

In questa silloge poetica di Beppe Cavatorta ritroviamo le spoglie dello stesso paradigma: i testi, chiusi e come murati in forme metriche fisse, riescono proprio per questo a liberarsi, rinnovandosi in uno snaturarsi, da sonetto a pseudosonetto, da amor de lonh a riflessione sull’assenza e soprattutto su ciò che succede al limite estremo del linguaggio. Si sceglie allora una serie di regole precise (il sonetto, l’endecasillabo) e si sposta il soggetto indietro fino all’origine della poesia d’amore per poi farne una cosa altra, non più la donna ma la creatura intuita dietro la carta da parati, creatura ibrida, antilirica e senz’altro anti-romantica. Creatura, inoltre, alquanto preoccupante e pericolosa, di cui non si sa molto e si teme un po’ cosa direbbe se solo la si lasciasse parlare.

Si tratta, in altre parole, di confinare il dire poetico non riducendo l’io alla maniera neoavanguardistica, ma riducendo al minimo le possibilità espressive per poi lasciare il linguaggio a se stesso, sigillato in una serie di contenitori chiusi, di scatole minime dentro le quali la condenseria di parole, per dirla con Lorine Niedecker, impossibilitata a moltiplicarsi, scopre rapporti nuovi e inusuali, segreti spazi di azione poetica, in cui “il polpastrello misurato / vira sull’infinito golfo del possibile” (p. 23) e “il diavolo che trovi / nei dettagli” (p. 46) è quello di una lingua che, liquida, continua a esondare, a strabordare, goccia a goccia, dal vaso in cui la si è racchiusa. E si tratta allora per il verso opposto, e il rischio ce lo mostra Bergman in Come in uno specchio (1961), la cui protagonista incarna una variante della donna nella stanza chiusa di Perkins-Gilman, di contenere l’alluvione, di fermare cioè il dire nel momento che immediatamente precede il rivelare.

Federica Santini

 
 
 
 
1.
 
un ascensore che sale all’ultimo
respiro in un ammutinarsi rauco
di nubi d’anni carico e di rughe
scongiurato il pericolo del solo
 
del non fatto dell’occasione persa
– destino parallelo di due rette –
là dove uno spurio sfregamento
accende fuochi che purificano
 
terreni fatui quando non li curi
di senso rigogliosi nell’altrove
di piante e di animali strani.
 
ed è nella vertigine che sale
d’un sempre l’indiscreto desiderio
che non s’appoggia ad ali per volare.
 
 
 
 
2.
 
verso una luminosità indistinta
si sentono i tuoi passi damascati
lieve e sospesa come un gabbiano
in volo che sembra nero se visto
 
coi filtri del lontano. nero come
una mosca presa nel doppio vetro
dimentica del foro dell’entrata
che non comprende il solido del cielo
 
del muro trasparente che la tiene.
ma non c’è teca non ci sono sbarre
non c’è esitazione nel tuo andare
 
ancora nel tepore di un azzardo
per coricarsi nel sovrappensiero
del dolce privilegio del fuori.
 
 
 
 
3.
 
presto saranno nitidi i contorni
e non t’aggrapperai solo ai riflessi
per dare concretezza a questa veglia
in bilico tra smania e dannazione.
 
le ultime questioni accantonate
cassati i casomai i come e i quando
le maglie di metallo del tuo corpo
sciolte nell’acido di una promessa
 
che non teme il graffio della ruggine.
aperta all’impubere meraviglia
di un’elegia senza scriminatura
 
scegli col fiato in gola un’incertezza
che non è pari mai a quanto paghi
sola nell’anticamera di un forse.
 
 
 
 
4.
 
è nelle passeggiate senza scorta
su viali di un sud parato a festa
tra la promessa dei fiori del pesco
e impervie grida di corse bambine
 
che provi a fare pace almeno in parte
col vivere disritmico del fuso
che soffoca l’idea di uno spiraglio
sul coincidere anche se mentale.
 
accelerare il passo l’espediente
stancarsi sentir ansare l’anima
perdere la coscienza dei contorni.
 
e poi nel faticoso rifiatare
aggrapparsi alla traccia di due dita
che mimano il solco dell’aratro.
 
 
 
 
5.
 
nell’ammutinarsi della clessidra
s’appoggia inumidito l’indice
su pagine ancora da sfogliare
dove su un dislavato bianco scorri
 
la storia di una vita immaginata
che non è già e che ritarda ancora.
disegni le volute dell’inchiostro
correggi scarabocchi di pensieri.
 
ritrovi su quei fogli immacolati
alienate parole che non scrivi
tutti i magari a cui non puoi dar forma.
 
ed è così che inganni questo tempo:
sogni coagulati nel presente
non schiavi del passato della penna.