I poeti e altri animali – Sui rapporti recenti tra poesia e narrativa – con una segnalazione di Eucariota


 
 
da apropositodiuncaneinlivrea.com
 
 

Mi è capitato in due occasioni di presentare Animale (Italo Svevo Edizioni) durante l’estate 2022, pochi mesi dopo la sua uscita: prima a San Mauro Castelverde, ben protetti all’interno del Festival di poesia Paolo Prestigiacomo, e poi a Palermo, entrambe in compagnia dell’autore, e la seconda in tre con Noemi De Lisi. E ogni volta ho voluto per prima cosa allargare il campo rispetto a una questione teorica e pratica che accompagna alcune scritture: Nibali è infatti uno di quegli autori in versi che a un certo punto dalla poesia fanno un salto e approdano alla narrativa e al romanzo, accettando insomma di giocare secondo altre regole. Un’attitudine che in realtà sembra essere più diffusa oggi che nel Novecento, durante il quale in Italia, a parte i casi conclamati di Pasolini e Pavese, non mi risultano molti grandi poeti che siano stati anche grandi narratori (e viceversa). Oggi è appunto cosa piuttosto consueta, e di certo si collega anche alla perdita di mandato sociale e di pubblico della poesia, e quindi a un desiderio legittimo di maggiore riconoscimento, mentre più raro e subalterno è il movimento opposto, dal romanzo ai versi (penso a Michele Mari, che ha spesso come poeta qualcosa di involuto e artificioso, come un divertissement ritagliato all’altro tempo da scrittore). Ho in mente l’orizzontalità di certe scritture poetiche dalla vocazione neo-epica, che costituisce già una forma di compromesso tra le due istanze in gioco, così come la verticalità e densità di certi testi prosastici (almeno a partire dai Vociani) empiricamente “ricevut[i] come poesia” (Zublena), ma qui vorrei considerare proprio il passaggio dai versi alla prosa e a un livello fictionale che richiede come mezzo una certa figuralità su larga scala (anche lì, empiricamente riconoscibile, se non altro per quello scatto emotivo che ci fa pensare: e qui comincia, in qualche modo, un’avventura). Al tempo stesso e in linea di principio, proprio questo passaggio da un piano all’altro dovrebbe mostrare le possibilità ulteriori del linguaggio poetico, che comporta anche una certa logica di costruzione dell’opera, e quindi alla domanda: cosa farne del linguaggio poetico? si potrebbe benissimo rispondere: non per forza un libro di poesia. Ma il romanzo di uno scrittore che si è già espresso in versi avrà delle caratteristiche riconoscibili, individuabili? Magari dentro il percorso di alcuni poeti sembrerà quella romanzesca soltanto una divagazione non necessaria, mentre per altri risulterà invece proprio la poesia un acerbo sfogo puerile al confronto di una raggiunta distensione narrativa. Nei casi più coerenti, poesia e romanzo diventeranno forse le due facce della stessa spasmodica ammaccatissima medaglia (e così in certe pagine di romanzo si può percepire, come vaporizzata, la poesia che l’autore poteva scrivere e non ha scritto, come in alcuni libri in versi risalta la filigrana di una storia non raccontata).

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Da pochissimo Nibali è poi tornato ai versi, con Eucariota (Samuele Editore, 2023), e la sensazione è che la lingua, non più narrativa ma nuovamente lirica, continui a battere nello stesso punto dove qualcosa maledettamente duole: “e senti dentro l’intarsio/ nella parte di minuscola stoffa e corda/ tornare ad assalirti la radice del tuo male/ una voce che soffoca e chiede perdono”. Per dire come a volte questi passaggi da una scrittura all’altra sono solo un modo per insistere con altri mezzi verso lo stesso obiettivo e speranza, e con figuralità poetica oppure romanzesca provare a rischiarare la radice del proprio male (che poi è tutto quello che molti di noi chiedono alla letteratura).

Andrea Accardi

 
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