da “La Repubblica” del 31 gennaio – su “Al ritmo di putipù”

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Gorgoni, il poeta che per mestiere vuole esistere senza pesare sugli altri

 

SOSSIO GIAMETTA

IN “Al ritmo di putipù” (Samuele Editore, pagine 56, euro 9), ultimo libro di poesie del poeta napoletano Renato Gorgoni, le opere sono due: le poesie di Gorgoni e la prefazione di Emilio Isgrò, Poesie trasversali. Questa è un bello e spigliato racconto dell’amicizia con Gorgoni di uno degli artisti più versatili e brillanti, divenuto celebre soprattutto come cancellatore (possiamo permetterci solo un cancellatore, non un cancelliere come la Germania), ultimamente anche del Corano e delle scritture sacre orientali in una mostra allo Studio Marconi di Milano. Isgrò aveva 17 anni quando, nella sua nativa Barcellona Pozzo di Gotto, in Sicilia, incontrò nel 1954, all’angolo della via Umberto I con Corso Garibaldi, il furgoncino carico di libri Einaudi del ventisettenne Renato Gorgoni. Questi gli vendette il teatro di Brecht e i drammi andalusi di Garcia Lorca, e poi forse altri ancora. Cominciò un’amicizia che continuò a Milano, al Giamaica, bar degli artisti, dove Gorgoni conobbe anche altri artisti e intellettuali, e poi ancora alla Rizzoli, dove Isgrò e Gorgoni lavorarono insieme.

“Fotografo, collaboratore di quotidiani prestigiosi e specialista di anglistica per Rizzoli e Bompiani: erano questi i suoi titoli”, così Isgrò presenta Gorgoni. “Ma lui non parlava mai di se stesso, come se il suo solo mestiere fosse quello di esistere senza pesare sugli altri. Era leggero come erano le sue prime poesie, apprezzate da Camillo Pennati, Manlio Cancogni, Marco Forti, Peppo Pontiggia, Ermanno Rea e tantissimi altri… Ma era un poeta insopportabilmente “professionale?”, si domanda Isgrò. “O un poeta che parte senza una meta da raggiungere? La sua poesia era un gioco della mente e del cuore? O meglio lo sfizio di un viaggiatore?” Una volta Isgrò si fece accompagnare da Gorgoni in Cinquecento a Fiumalbo presso Modena, dove si svolgeva un convegno di poeti visivi e altri artisti del genere. Ma arrivarono a Modena a mezzanotte. Fiumalbo, che Renato aveva detto di conoscere, era lassù, sulle montagne. Fecero dietrofront. E Isgrò ancora si rammarica di aver mancato quell’importante convegno. Però fu allora che capì che Renato era un poeta. Non catalogabile, come il suo amico Luciano Bianciardi, ma vero poeta silenzioso in apparenza e rumorosissimo di fatto.

Molte sue poesie sono infatti accompagnate da “grugniti, russii, sbruffi di cavallo, borborigmi, scorregge, prescritti alla fine di ogni lassa”. Neanche il fantasma è leggero: se ne va in giro “col suo pesante respiro/ perché, come si sa, un fantasma/ è un fantoccio che soffre d’asma”.

Una delle poesie, La febbre del sabato sera, “va letta, gridata o bisbigliata con un sottofondo di stridio di freni, fracasso da scontro frontale di auto, gorgoglio d’acqua, sirene spiegate”. Però nella poesia di Renato non c’è solo lo sberleffo, il pernacchio e il putipù napoletano, ma anche la tenerezza, l’amore, la ribellione e altro ancora.

Isgrò: “Napoli è la musa di un poetare solenne e ronfante anche ora che Renato ha scelto la Toscana (vive a San Vincenzo con la moglie inglese Alison), da dove “continua a sparare i suoi petardi”. In questo libro imperversano “i mille diavoli tarantolati che il raffinatissimo cosmopolita Gorgoni si trascina dentro e dietro da sempre… capaci di strattonare i versi compiaciuti di tanti suoi colleghi”.

I personaggi sono bizzarri elefanti, giraffe raffinate, signorine sdilinquite, segretarie pettorute, vecchietti cacciatori di ninfe e ninfette. Lo stesso autore è “un poeta amico/ di una rima baciata/ molto ben calcolata”. Per Isgrò la poesia di Renato è ispirata dal rispetto degli altri e da un’altra rima, rumore-pudore. Una poesia trasversale ci sta bene nell’epoca in cui la politica “si è fatta insopportabilmente trasversale”.

 

da http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/01/31/gorgoni-il-poeta-che-per-mestiere-vuole.html