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Cossa vustu che te diga – Giacomo Sandron

sandron

 
ESAURITO
 
 
Prezzo: 12 euro
Isbn: 9788896526214
 
 

“Te mancarà e man de me nona / i so grossi dei come gropi e duri / che te li ficava drento in senocioni / su la cuiera, col soriso tai oci” (Ti mancheranno le mani di mia nonna / le sue dita grosse come nodi e dure / che ti affondava dentro in ginocchio / nell’orto, col sorriso negli occhi). Sono fra i primi versi che accolgono il lettore di questa intensa raccolta poetica, in un testo, quello che si propone come una sorta di intro musicale, una dichiarazione d’amore e al contempo di odio rivolti al proprio paese, leitmotiv che percorrerà, come una crepa lunga, l’intero percorso che vede, passi e parola, snodarsi al suo interno. Poi, verso la fine della stessa, in una delle ultime sezioni, l’autore riprende humus ed enunciato, innestandovi però un senso di smarrimento, di lontanìa, per dirla alla Marin: “La rotta si perde anche coi piedi calcati per terra”. Nel testo successivo, l’autore aggiunge ancora, come per giustificare tale “stornità”: “Sarà che qua la terra sta / allo stesso livello dell’acqua”. Basterebbero questi tre brevi estratti per riassumere il background, il substrato in cui affondano le parole di Giacomo Sandron, e in virtù di una qualche loro misteriosa proprietà, risalgono poi a galleggiare. Un autore che giunge, finalmente, a consegnare alle stampe una raccolta organica che riassume oltre un decennio di ottime apparizioni sparse su plaquette, libretti artistici e artigianali, riviste cartacee e su web, e una costante presenza in readings e letture, performance e partecipazioni a poetry slam (di cui è uno degli interpreti più apprezzati).

dalla prefazione di Fabio Franzin

 
 

Cossa vustu che te diga, Portogruaro
tera marsa, mi te amo
che vol dir che te me fa morir
che a forsa de dai e dai sul liston
me son frugà i pie, ‘l cuor e ‘l sarvel
a spetar che vignisse su
‘na robuta quaunque da ti
tera marsa, desmentagada
che no la serve se no par pianser.
Te mancarà e man de me nona
i so grossi dei come gropi e duri
che te li ficava drento in senocioni
su la cuiera, col soriso tai oci,
te mancarà i so fondi de cafè
e le scorse dei ovi che te mis-ciava
tuto ‘l pastrocio che a faseva
par farte pì grassa e pì bea.

 

Cosa vuoi che ti dica, Portogruaro / terra marcia, io ti amo / che vuol dire che mi fai morire / che a forza di andare su e giù per la piazza / ho consumato i piedi, il cuore e il cervello / aspettando che germogliasse / una piccola cosa qualunque da te / terra marcia, dimenticata / che non serve a nulla se non a piangere. / Ti mancheranno le mani di mia nonna / le sue dite grosse come nodi e dure / che ti affondava dentro in ginocchio / nell’orto, col sorriso negli occhi, / ti mancheranno i suoi fondi di caffé / e i gusci delle uova con cui ti impastava / tutto il pastrocchio che combinava / per farti più grassa e più bella.

 

 

 

 

 

Co’ torno casa in tren
ghe passo sempre da drio casa mia
da l’altra banda xe i campi
dove se ‘ndava de scondiòn a far i furbi
a magnar bàmpoi
a ciavarghe pomi e panoce
i fossi ‘ndo che ‘ndevimo pescar.
Pescavimo ‘ndò che stava ‘l zio Ciccio
che iera un de quei mati che va in bicicleta, su e so
co la so musa de tera brusada, sempre un baret in testa
e quel che saveva dir iera sol che “Bon”
co che l’andava, “Bon” co che ‘l tornava.
E ierimo lì, un dì, a cavar fora bissi da la tera
davanti casa sua, e lu se ga messo a pissarne in fronte
e no son sta bon, chea volta,
a no vardarlo che se menava l’osel
a sintirlo che ne domandava
se lo gavevimo longo come ‘l suo.

 

Quando torno a casa in treno / passo sempre dietro casa mia / dall’altra parte ci sono i campi / dove si andava di nascosto a fare i furbi / a mangiare bàmpoi /a rubare mele e pannocchie / i fossi dove andavamo a pescare. / Pescavamo dove stava lo zio Ciccio / che era uno di quei matti che vanno in bicicletta, su e giù / col suo muso di terra bruciata, sempre un berretto in testa / e quello che sapeva dire era solo “Bon” / quando andava, “Bon” quando tornava. / Ed eravamo lì, un giorno, a tirare fuori lombrichi dalla terra / davanti a casa sua, e lui si è messo a pisciare di fronte a noi / e non sono stato capace, quella volta, / a non guardarlo mentre si menava l’uccello / a sentirlo che ci domandava / se l’avevamo lungo come il suo.

 

 

 

 

 

Cascasse i omini come casca e foie
picai ta la punta de un luni de vento
‘l caìgo vien so come ninte
quante robe ghe sta drio ‘l tempo
che passa sensa far ‘na mossa
quante robe impirae che vansa
ae oto de matina o anca prima
ta ‘na scovassa de oci strachi e
pasarà na bora o ‘na trebbia a tirar su.

 

Cadessero gli uomini come cadono le foglie / appesi alla punta di un lunedì di vento / la nebbia scende come niente / quante cose stanno dietro il tempo / che passa senza muoversi / quante cose impilate che avanzano / alle otto di mattina o anche prima / in una pattumiera di occhi stanchi e / passerà una bora o una trebbia a raccogliere.

 

 

 

 

 

Meio e bestie

Pensa mi e a Maria, là via, quanti ani semo stae amiche
ea restàa incinta, lu ‘l xe andà via, più visto
no ga savuo se a fia, se xe nata o cossa,
i sui stava, no me ricordo dove, no par Concordia,
pa’ ‘ndar par Venessia ma su paeseti là, i xe andai in Francia
so pare ga tanto fato che a vada via, ea ga dito me dispiase,
son vignua qua, go trovà ‘l posto, mi stago qua,
quindese ani e brava far de magnar, far dolsi,
ricamar e stirar, far robe, e so fia invesse che rincurarla
la manda in casa de riposo, varda che roba,
tirarghe su i fioi, andar a ‘l mar co’ tre fioi,
finalmente a più vecia se ga sposà, la ga un fiol
quealtra ancora a Padova no ga nissùn, ‘l fiol xe strambo,
sempre a fia de a Maria, do fie e un fiol, una studiava a Padova
una a Udine, so pare e so mare iera a lavorar, no, ea fea ‘l magnar
a ghe preparava de chee robe ai fioi a magnar a mesogiorno,
lori i magnava, no se pensava che iera anca so nona
intanto che a tirava via e pignate, a roba, i magnava tuto
adesso i xe lori do soi co’ quel fiol strambo là
con do genitori seri e ‘na nona più seria ancora
e lu fa ‘l paiasso, mama mia, xe proprio vero,
i omini, più che i ga e manco i dà adesso,
quando che te ga bisogno, no se ricorda più
par carità, ‘scolta qua, te digo mi, meio e bestie.

 

Meglio le bestie

Pensa io e la Maria, là via, quanti anni siamo state amiche / lei rimasta incinta, lui  andato via, più visto / non ha saputo se la figlia, se è nata o cosa, / i suoi stavano, non mi ricordo dove, non verso Concordia, / sulla strada per Venezia, nei paesini, sono andati in Francia / suo padre ha fatto tanto perché andasse via, lei ha detto mi dispiace, / sono venuta qua, ho trovato lavoro, io sto qua, / quindici anni e brava a fare da mangiare, fare dolci, / ricamare e stirare, fare robe, e sua figlia invece di prendersi cura di lei / la manda in casa di riposo, guarda che roba, / allevarle i figli, andare al mare con i tre figli, / finalmente la più vecchia si è sposata, ha un figlio / quell’altra ancora a Padova non ha nessuno, il figlio è strambo, / sempre la figlia della Maria, due figlie e un figlio, una studiava a Padova / una a Udine, suo padre e sua madre al lavoro, no, lei cucinava / preparava di quelle cose ai ragazzi da mangiare a mezzogiorno, / loro mangiavano, non pensavano che c’era anche la nonna / mentre portava via le pentole, le cose, mangiavano tutto / adesso sono loro due da soli con quel figlio strambo là / con due genitori seri e una nonna più seria ancora / e lui fa il pagliaccio, mamma mia, è proprio vero, / gli uomini, più hanno e meno danno adesso, / quando hai bisogno, non si ricordano più / per carità, ascolta, te lo dico io, meglio le bestie.

 

 

ESAURITO
 
 
 
 

Samuele Editore

Samuele Editore nasce nel 2008 a Pordenone, nel nord est Italia. La stessa città di Pordenonelegge, una della più importanti manifestazioni letterarie nazionali. E città vicino a Casarsa, la terra di Pier Paolo Pasolini. Samuele Editore nasce riprendendo il marchio storico della Tipografia di Alvisopoli fondata nel 1810 da Nicolò Bettoni. La vecchia Tipografia nella sua storia pubblicò molte opere importanti come Le Api panacridi di Alvisopoli (1811, scritta per il figlio di Napoleone Bonaparte) di Vincenzo Monti. Poeta, scrittore, drammaturgo, traduttore tra i massimi esponenti del Neo Classicismo italiano. La Tipografia, che aveva per logo un’ape cerchiata da un tondo con il motto Utile Dulci, lavorò fino al 1852, anno della sua chiusura. Samuele Editore prende l’eredità di quel grandissimo momento storico prendendo gli stessi ideali e gli stessi obiettivi di Nicolò Bettoni. Intenzione bene esemplificata dal motto Utile dulci che Samuele Editore riprende a manifesto del suo lavoro. Si tratta infatti di un passo oraziano tratto dall’Ars poetica (13 a.c.): “Omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci, Lectorem delectando pariterque monendo” – “ha avuto ogni voto colui che ha saputo unire l’utile al dolce, dilettando e nello stesso tempo ammonendo il lettore”. Lo stesso passo viene ripreso nel XVIII secolo dall’Illuminismo italiano col significato di “il lavoro e l’arte sono fondamento di una vita serena”. Ripreso nello stesso significato anche dalla tipografia di Nicolò Bettoni, è adesso concetto fondante e continuamente ispiratore della ricerca poetica e delle pubblicazioni di Samuele Editore. Già dopo pochi anni di attività Samuele Editore si è imposto all’attenzione della cultura nazionale lavorando con i maggiori esponenti della poesia, del giornalismo, della televisione italiana. Con un lavoro di promozione continuo sia con manifestazioni proposte dalla Casa Editrice (a Pordenone, Trieste, Venezia, Milano, Torino, Roma, Napoli, eccetera) sia con poartecipazione a Festival importanti (Pordenonelegge, Fiera del Libro di Torino, Ritratti di Poesia di Roma) sia con newsletter e pubblicità settimanali in internet, Samuele Editore è considerato uno dei migliori editori del settore Poesia in Italia e vanta una presenza nei maggiori giornali nazionali quali Il corriere della sera, L’espresso, e continue recensioni nella famosissima rivista Poesia (la maggiore rivista italiana del settore). Col desiderio di aumentare la conoscenza della Poesia italiana e del mondo, a maggio 2013 Samuele Editore apre un ufficio internazionale dedicato a quegli autori che intendono far leggere le proprie opere al pubblico e ai poeti italiani, da sempre unici e importantissimi nella poesia mondiale. Con l’esperienza di un ottimo libro di poesie inglesi tradotte in italiano (Patrick Williamson) e del maggior poeta vietnamita vivente (Nguyen Chi Trung) Samuele Editore si propone di tradurre e proporre in doppia lingua le opere più meritevoli di autori non italiani, continuando la ricerca delle grandi opere poetiche di autori famosi e non famosi, capaci però di scrivere grandi libri. In questo si inscrive la partecipazione, nel 2014, al New York Poetry Festival. Con la grandissima convinzione che la Poesia può diventare ponte internazionale tra le persone, per farle parlare, per farle capire, creando cultura.