Una domanda al poeta: Luigi Oldani – su Laboratori Poesia


 
 
 
 
da Laboratori Poesia
 
 
Come ondeggia
la chioma dei pini…
mi gira la testa.

 
 
 
 
Stelle cadenti
le annusa sul tetto
un Buddha, un gatto.

 
 
 
 
Ogni giardino
ha una rosa canina
mi graffio la mano.

 
 
 
 
Come ventagli
i bambù rincuorano
ma senza vento.

 
 
da Come ventagli, Luigi Oldani (Samuele Editore, 2019, collana Scilla, prefazione di Paolo Lagazzi)
 
 
 
 

Haiku, una forma prestata e malintesa dall’occidente o una possibilità di andare oltre una letteratura stantia? In questi tuoi haiku la presenza dell’io non contraddice la necessità di un’oggettività evocativa?

Alessandro Canzian

 
 

Rispondo intanto alla prima domanda. Sicuramente la forma haiku è stata molto fraintesa da molti autori e critici dell’occidente, da versetti pseudo romantici a una forma-strumento di ‘ribellione’ e a versi da copiare senza comprenderne la fonte e la potenza. Per altri aspetti essa è entrata a far parte del mondo poetico grazie a una sempre maggiore conoscenza, ma pur sempre ricevendo scetticismo, incomprensione se non una ennesima errata interpretazione, quasi essa sia forma meno rispettabile della “vera” poesia. Per quanto mi riguarda è una nuova fonte a cui attingere per poter fare poesia in modo autentico, voglio dire che l’autenticità dell’ispirazione mi viene offerta sia dalla forma così breve che può sprigionare una forte poeticità, sia da un percorso che spesso è ed è stato contiguo alla Via dello Zen. Non penso più quando desidero scrivere, se farlo in versi propri dell’ haiku o in altre forme, l’haiku è ciò che mi viene spontaneo, sono queste poche sillabe a dettarmi quei lampi, quei precipizi verso una comprensione della vita, di quello che vedo e sento, è questa brevità che per sua natura, avendo regole ben precise ( ma talvolta si è liberi di andar oltre) che possono essere meglio recepite se si è all’interno di un percorso spirituale, che trasforma la percezione, la visione delle cose del mondo, elimina una separazione tra l’io e l’altro, attua una sorta di rivoluzione del sentire poetico, lo pulisce da orpelli e da pensieri intellettualistici o filosofici, speculativi. La brevità della forma, l’apparente semplicità del dire, apre però a una complessità e ricchezza di contenuto espresso e non, l’haiku infatti lascia molto al ‘non detto’ espressamente e alla interpretazione, al sentire di chi legge, esso ne è parte integrante. Credo che l’haiku se ben scritto, conoscendo regole e senso, il pensiero Zen che ne è parte essenziale, possa essere appieno una forma che porta nuova linfa alla poesia, ma ripeto guai a scambiare l’haiku per un giochetto sull’oggettività della visione naturalistica, a una mera descrizione, allora sarebbero parole secche senza radici e senza orizzonte, ferme e chiuse in una visione egotica della vita, lontane dal mistero, dalla magia e dal dramma di ogni giorno.

Per quanto riguarda la seconda domanda invece il discorso sarebbe lungo e ancora tocca il percorso Zen, lo studio e la pratica di tale filosofia e religione. Direi che l’io c’è nell’haiku, il poeta è vivo, pensa e scrive, ma è proprio questo io a divenire altro, o meglio a cercare di farlo…Non è più un io discriminante, separato dal resto del mondo, dall’altro da se stesso. Questo ‘nuovo’ io è un tutt’uno con il noi, il Tutto. Un io che vive nel “qui e ora”, cogliendo il grande valore del presente, vivendo nell’impermanenza, ovvero in ogni cosa che cambia, si trasforma…Dunque un io all’occidentale che non esiste proprio, molto diverso da quello che si è abituati a coltivare e ad alimentare. Un io che si dissolve nel Mondo che ne fa parte ma che non è nulla. In tutto ciò l’oggettività non esiste come sforzo o imposizione è, come dicevo, l’io che è cambiato, è differente. Non dico certo che tutto ciò è facile, è un cammino affascinante nel mistero della vita nella bellezza di sentirsi Uno con il Tutto; la parola, la poesia cerca con l’haiku di esserne  estimonianza e ricerca poetica.

Luigi Oldani

 
 
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