su “Il destino dei mesi” di Nicola Riva – A cura di Filippo Davoli

IL DESTINO DEI MESI E QUELLO DELLA POESIA. Il ritorno di Nicola Riva
pubblicata da Osservatorio C-Miniera il giorno Venerdì 19 ottobre 2012 alle ore 14.28 ·

Se un libro di poesia non soggiace alle strettoie del mercato (né in bene – le vendite… – né in male – il passar di moda…), e sappiamo bene che non vi soggiace (sebbene in passato ci capitò qualcuno che premeva per esser pubblicato, perché sennò altrimenti il libro gli “scadeva”…), non si stupirà più di tanto il lettore se arriviamo con circa un anno di ritardo a parlare di un giovane autore lombardo, Nicola Riva, alla sua seconda pubblicazione per i tipi di “Samuele Editore”.

Altrettanto crediamo – e segretamente confidiamo… – che non se ne abbia a male l’amico Nicola se solamente ora parliamo di questo suo secondo libro, che conferma le speranze riposte in quello d’esordio, apparso – ormai quasi una decina d’anni fa – per i tipi di “Ged, Biblioteca di ciminiera”.

Fu una scoperta – e una lancinazione – imbattersi, allora, nei versi di questo giovanissimo autore, cresciuto avendo per amici i poeti del Romanticismo inglese, quotidianamente frequentati e interrogati, nella loro lingua, e poi anche tradotti pressoché integralmente. Per questo – e assolutamente non per vezzi di ritorno o spocchie – Nicola scriveva allora in un italiano ottocentesco, aulico, rigorosamente metrico e musicale, raffinatissimo. Ci parve un apax, in un panorama sempre più minimalista e di maniera, asfitticamente sentimentale o programmaticamente cronachistico, in buona sostanza ammorbato quando non addirittura ripetitivo e noioso. Poche voci, tra le giovani di allora, ci convincevano, nonostante le infinite antologie ad essi dedicate: quelle di Andrea Ponso, Gabriel Del Sarto, Massimo Gezzi, Roberta Castoldi, Gianluca D’Andrea, Franca Mancinelli, Tiziana Cera Rosco. Erano alle loro prime prove, quasi tutti si esercitavano nella militanza attraverso le colonne della rivista “Atelier”, avevano a disposizione – cosa inesistente, sino ad allora – un’infinità di strumenti di comunicazione in più, dal cellulare ad internet. Nicola Riva era estraneo a tutto ciò. Viveva nella sua Trezzo sull’Adda, esplorava la biblioteca cittadina amandola come una seconda casa, imparava anche la lingua di Tagore per poterlo – anche quello… – tradurre.

Uno studio innamorato e disperatissimo, che aveva dato quei frutti così unici.

Franco Loi afferma spesso che non c’è bisogno di affidarsi a chissà quale marketing specializzato, per aprirsi davanti le strade del successo: se è nel destino di una scrittura farsi avanti, la strada si aprirà da sé. Ovviamente non è così facile e nemmeno così roseo che accada. Sta di fatto, però, che almeno gli incontri avvengono a volte senza altre cause preordinate. Come incontrammo Nicola Riva, sinceramente, non ce lo ricordiamo. Ci vedemmo alla Stazione centrale di Milano, ma perché? Chi ci aveva messo in contatto? Come ci eravamo conosciuti? Perché ci eravamo incontrati?

Però ci riconoscemmo. Fu un lampo. Nicola cominciò a collaborare con “Ciminiera” e ben presto arrivammo alla pubblicazione del suo “Qui, dove?” che – come era nostro costume… (infatti ben presto chiudemmo i battenti) – non prevedeva cifre d’acquisto copie da parte degli autori, ma solo ed esclusivamente l’apprezzamento del comitato editoriale, quale che fosse il nome del proponente la pubblicazione. Più spesso eravamo proprio noi a chiedere agli autori di inviarci una silloge (fu il caso, ad esempio, di Lucetta Frisa, Alberto Cappi, Leonardo Mancino, fino alla ristampa di “Mio padre Adamo”, uno dei più bei romanzi mai letti, a firma di Fortunato Pasqualino).

Lo scorso anno, Nicola Riva ha pubblicato “Il destino dei mesi” (Samuele Editore, introduzione di Davide Rondoni). Oggi Nicola scrive in una lingua che è quella dei giorni, senza tuttavia aver perso minimamente la caratura che gli era già propria: nessuna concessione all’approssimazione, tanto meno alla sciatteria (che pure, chissà perché…, va tanto di moda, quasi fosse una bella griffe della contemporaneità…), una ancora pressante domanda sul senso della vita senza sconti di sorta alle possibili risposte, nel segno della “bella pagina”, nel fiume del “grande stile”.

Scrive Rondoni in prefazione: “Un poeta completamente del nostro tempo, dunque. Immerso, forse sepolto. Nel senso che in una poesia esatta, coraggiosa nel nitore delle tessiture, spesso incidente nelle clausole, Riva ci dà un autoritratto di uomo contemporaneo che ha un passato con qualche luce, qualche felicità indimenticabile  – qualche stupore – ma guardata da una costa irraggiungibile.” E ancora: “Riva è poeta colto e agile, passa da un esergo del contemporaneo Ruffilli a uno tratto da parole maestose e dure di Michelangelo, muove un italiano atletico e pur grave, sa di aggirarsi nei dintorni di questioni gravi, anzi lancia la sua poesia a volte fermo “contro” alcune grandi questioni della vita di un uomo: Dio, l’amore, le speranze”.

E veramente la poesia di Riva scava la fossa all’amore: corre a vedere se laggiù può darsi un varco. Altrettanto, non vi sarà lettore dei suoi versi che potrà richiudere il libro senza essere sceso là in fondo con lui. (Filippo Davoli)

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da Il destino dei mesi

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SOGNO IN BIANCO E NERO

Metà novembre; il duro

letargo di radici.

Tremito di rami stesi al vento

e decomporsi delle prime foglie.

Mese di tramonti

sempre più presto, mese di riposi,

di moribondi. Mese senza attese.

Sulla pianura bianca, sparecchiata

di colori e di vita, si è disteso

un lenzuolo di nebbia, punteggiato

di cornacchie e di corvi – nere macchie

di dalmata -. E sul suolo

la prima bianca brina,

farina fredda.

E ancora non è inverno!

Per me

l’autunno è eterno;

sognare, un lusso non concesso. Ho ancora

l’età dell’utopia, delle illusioni,

ma senza più colore. Sono troppo

vecchio per lo stupore, abbastanza

per non cedere alla speranza. E adesso

che nel futuro, o in me, non credo o spero,

come l’autunno esisto in bianco e nero.

*

*

ALLA MADRE

Bacerai queste mie mani dure

che ti hanno lavorato, martoriato,

forse, a mia insaputa, per scavarne

buone necessità, quando tranquillo,

felice, spero, dolce di sereno

sonno, e leggero finalmente in te

mi sdraierò, mi riconoscerai

mi accetterai quale tuo figlio,

Terra?

*

*

LA LEZIONE DELLA STRADA

Sempre mi spiega il vento la mia strada,

imparo ad ogni curva

e ciò che non apprendo lo deduco

dal novero dei giorni che mi avanzano.

Ogni stanza è un ricovero a chi viaggia

e il viaggio è imperativo.

Dimentico di me, mi lascio vivere

pieno dell’aria libera, ed il monto

assaggia ogni mio passo

che muovo senza freno

con animo sereno.

Nel cammino

chiedo soltanto che nessun traguardo

sia mai troppo vicino.

*

*

PER UN AMORE ANCORA NON TROVATO

Con che piacere in questa sola sera,

soli sognando (e tu, sincera mente,

al cuore mio non menti, mi consenti

d’essere vivo e amante) le mie braccia

si riempiono in abbraccio alle tue spalle

morbide e piene, e le tue mani avverto

stringersi alle mie costole

povere e madre in un’unione casta.

Magico posto, umile silenzio,

momento fermo. Tra i tuoi denti sento

un’emozione folle

e forse non è amore ma mi basta.

*

Nato nel 1980, Nicola Riva vive a Trezzo sull’Adda. Dopo aver conseguito il diploma di maturità classica, ha collaborato alla traduzione del “Rationale divinorum officiorum” di G. Durandus (Edizioni Vaticane, 2001). Nel 2003 entra in contatto con il circolo “Poeti di ciminiera” (Macerata), condotto da F. Davoli, e diventa redattore dell’omonima rivista. Pubblica articoli su Coleridge (corredato da traduzioni inedite), Tagore e Laforgue. Dal 1997 tiene conferenze e corsi sulla poesia moderna e contemporanea. Nel 2004 pubblica la sua prima silloge di poesie “Qui, dove?” (introduzione di Filippo Davoli, Ged, Biblioteca di ciminiera). Alcuni suoi inediti sono stati pubblicati nell’e-book “Bacheca 2006” a cura di G. Fabbri. “Il destino dei mesi” (introduzione di Davide Rondoni, Samuele Editore, 2011) è la sua seconda raccolta.

Filippo Davoli e Nicola Riva a Bologna, nel 2004