‘Sta mia difesa su SoloLibri


 
 
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Troppo spesso la poesia dialettale è stata considerata la “Cenerentola” della letteratura, fino a teorizzare la sua incapacità di esprimere i moti più alti dell’anima, questo secondo Benedetto Croce. Teoria smentita dal sommo Dante Alighieri, che con le sue terzine allora dialettali, in “volgare”, va dagli inferi all’empireo, tracciando un cammino di redenzione e perfezionamento interiore.
 
La poesia dialettale di Fulvio Segato, triestino, specie in questo libro, ’Sta mia difesa (Samuele editore, pp. 132, 2016, prefazione di Fabio Franzin), si situa in quest’orbita di attenta osservazione e autoanalisi, in ritiro dal mondo per ritrovarsi e scoprire, intuire una verità, in ciò discostandosi da Dante che si tuffa in continuazione nell’agone politico.
Il ritiro di Segato, con le sue “pice parole“, vuole essere un rifiuto, una resistenza passiva al male, con un ritorno alla natura che sempre insegna e oggi appare più che mai necessario:

bastarse come / fa le viole, che no le xe coscienti / del color, i ragni dela imbastidura / e l’aqua che la evapora, / la se ingruma, / piovi.

La viola è metafora della nostra ignoranza metafisica, (“ignoramus et ignorabimus”, afferma il proverbio, ignoriamo e ignoreremo) con un candore originario da cui dovremmo saper ripartire, privi di orgoglio luciferino che ha portato alla creazione delle armi atomiche, alla morte, alla povertà di miliardi di persone, risultato della potenza finanziaria di una minoranza che schiaccia e distrugge i popoli e la natura.
Il candore del poeta rimanda e si apparenta a quello di Angelo Silesio (XVII secolo), al suo Pellegrino cherubico dove scrive:

La rosa non ha un perché. / Fiorisce perché fiorisce / non bada a sé, non chiede di essere guardata.

 

Graziella Atzori

 
 
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