Rita Gusso su “Il tempo rubato”

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Leggendo le poesie di Maria Milena Priviero la sensazione è quella dell’incanto, un incanto negli attimi che ci fermano dallo scorrere distratto dei giorni, il canto degli uccelli, i corpuscoli di un falò manifestano il mistero della vita, quasi a voler fermare il tempo per accumulare i momenti preziosi da tenere da parte per il tempo del congedo. Tutto sotteso, discreto, non appariscente, ma non per questo privo di forza, di ethos: “Più non attendono / i vecchi la sera / sulla porta di casa // chiusi fuori / anche gli ultimi / petali delle margherite”. Lo stillare dei giorni prende forza nei suoi versi, germogliano in fiori che scandiscono le istanze del vivere e nel contempo la cronologia verso l’epilogo.

Nella sua scrittura Milena dipinge, crea opere d’arte colorate, fresche, delicate che paiono volare fuori dalle recinzioni come le piume dei suoi uccelli. Un volare che arriva per certi versi a fondersi nello spirito del creato. A tratti mi ricorda la Dickinson più che nella forma alla contemplazione della natura, ai grandi quesiti esistenziali, al tocco delicato della parola, alla dissacrazione della convenzione a tratti quell’ironia e autoironia che trapela nella sua opera mi porta agli ossimori dell’ultimo Caproni. Ma Milena ha un suo stile chiaro, asciutto che non può confondersi, essa sposta l’attenzione dei quesiti esistenziali ai particolari del quotidiano, ci passa attraverso, li assapora, li gusta come il caffè nella tazzina con piattino nella poesia “A volte può bastare”, può bastare per colei che si ferma innamorandosi di una formica rendendo preziosi gli sguardi del microcosmo che diventano istanti da appuntare alla memoria e la poesia converge nella vita risolvendola da un momento intimo a un patto esterno che fa vibrare le corde più intime degli interlocutori. Cosa più che mai necessaria ai tanti stanchi “disabitanti” della terra dispersi in mare. Nella leggerezza la contemporaneità svela i suoi luoghi d’ombra negli “autunni che sono come inverni dietro le stazioni” o “il mare che diventa un lago chiuso” “Che “verbo non osa / e fiato trattiene”. Milena scrive una poesia matura, consapevole, di accettazione, non giustificante, una presa d’atto della realtà che depone in “un plaid” consolatorio e manifesta con ciò che è alla portata di tutti e per questo sfuggente. La sua forma è apparentemente semplice, disadorna di maniere usa le figure retoriche con la naturalezza di chi le conosce a fondo, la forma di un pensiero che si traduce nello stile in uno spazio circoscritto che le appartiene totalmente animando nel momento stesso della creazione ciò che appare inanimato. Forma apparentemente semplice, frutto invero di attenzioni accurate.

Il libro di Maria Milena Priviero “IL TEMPO RUBATO” si divide in tre sezioni distinte da tre poesie scritte in corsivo, nella prima sezione il tempo è quello dell’attimo da cogliere prima che sfugga immortalandolo in un foglio immacolato, nella seconda parte il tempo che rimane non necessita più di orpelli esige l’essenziale, nella terza parte il quesito è quello del tempo della poesia, il dubbio su una qualche sua utilità lascia però l’alchimia della poesia stessa all’etere.

Ho conosciuto Milena nell’agosto del 2011 durante un reading poetico.a villa Dolfin di Porcia e la sua poetica aveva catturata la mia attenzione, allora si affacciava discretamente al pubblico con i suoi versi e con quella grazia poetica che la contraddistingue, finalmente nel 2013 ha potuto coronare il suo sogno con la coraggiosa casa editrice Samuele, attendiamo ora altri suoi nuovi libri da cui la poesia contemporanea e tutti noi ci si possa nutrire.

Rita Gusso






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