Nella consuetudine del tempo su Casa Matta

 
 
da Casa Matta
 
 

La poesia di Luisa Delle Vedove è uno scandaglio nell’interiorità, alla ricerca di quelle ragioni interiori che stanno alla base del dialogo fra uomo e tempo, nel tentativo di poter tradurre questa esperienza cognitiva in parola, in verso. Si tratta quindi di una poesia essenzialmente intimistica, tutta concentrata sulla emergenza dell’io, che si interroga a fondo, esplora le zone di buio che si annidano pervicacemente nella nostra interiorità, per portarle alla luce, esporle in forma di versi per chi le vorrà accogliere. Ma questo non comporta nella poesia di Delle Vedove un ripiegamento solipsistico, anzi porta alla comprensione che scaturisce dal dialogo silenzioso con sé stessi, ossia che si è unità in movimento di resistenza con l’intera comunità degli uomini: “moltitudine unita in cammino / mentre la terra frana”. Risiedere “nella consuetudine del tempo”, come recita il titolo della raccolta, non significa allora adeguarsi a un ordine imposto, accettare lo status quo dell’esistenza in tutte le sue implicazioni problematiche, ma interrogarsi sul senso di un percorso nel quale la poesia è una delle strade concrete da attraversare, da percorrere.

Colpisce nella poesia di Delle Vedove la rilevanza che si attribuisce alla memoria e al ricordo (cioè la forma con cui la memoria sa esprimersi), per riportare in emersione il passato che ci appartiene; ma anche saperne svelare la trasformazione, svelarne ogni illusorietà conformistica. La figura della casa, il luogo della intimità domestica e dell’accoglienza, a cui la memoria ci riconduce, il luogo ”della breve / murata infanzia”, diventa allora lo scenario disabitato delle nostre aspettative irrisolte, tutto “blocchi di buio” e cortili in cui “l’erba cresce a dismisura”: la poesia di Delle Vedove diventa così anche poesia che accerta  lo spossessamento, il sabotaggio di tutto quanto autenticamente ci appartiene. Ma nessuna desistenza. Rimangono poche certezze a cui coraggiosamente riferirsi, buio e sabbia come residui e macerie di un mondo che ci sarebbe potuto appartenere.

Fabrizio Bregoli

 
 
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