Marco Ciaurro su Ultima vela

 

da la recherche.it

 
 

Il libro come lascito spirituale

 
 

L’opera poetica di Francesco Belluomini, per quanto conosciuta e apprezzata, è da scoprire e da studiare avendo cura di capire questa ostinazione a sviscerare il verso nella vita. Lo sguardo del poeta appaga e risponde al bisogno interiore dell’io di dire, la necessità di Dire, per dirla nel vocabolario di Levinas.

Questa necessità di dire è ciò che caratterizza il senso dell’uomo, il soggetto scrivente nella propria ipseità, nell’identità di scrittore-scrivente. Vale dire che l’uomo arriva alla coscienza e la coscienza dell’uomo si fa poesia nel gesto scrittorio. Il libro uscito postumo, “Ultima vela” – è sorprendente proprio per questa tensione interna che lega l’uomo al linguaggio.

“Ho sempre mal compreso qual sentiero/ Percorrere per rompere l’assedio delle parole”. (pag. 15)

Bisogna subito dire che molti aspetti essenziali sono stati sottolineati nelle innumerevoli recensioni uscite fino ad oggi. Tuttavia, a mio giudizio, c’è un aspetto rimasto in ombra, o non emerso a sufficienza, che corrisponde all’importanza, nell’aspetto più intimo ed essenziale – di questo libro. In esso, infatti, Belluomini tenta di precisare, in più di una occasione, la vocazione del poeta. Così il poema inizia dicendo che esso stesso è “Un percorso da stato di emergenza”. Come molti hanno sottolineato, questa emergenza non può risultare chiara, però, se non è messa in relazione alle pagine finali in cui dice: “ci tenevo a tale smarrimento di mia storia/ ripagato con quello che potevo./ L’ignoto che sconvolse la mia vita […]”. (pag. 207)

Che cos’è questo ’ignoto’ che sconvolge la vita? Nel “Poème pulvérisé” René Char, sebbene nel modo a lui peculiare, si pone la stessa domanda “Come vivere senza ignoto davanti a sé?”

Il punto nodale del libro, della vocazione, è il cominciamento. Si scrive perché si è scritto, tautologia che non ha rimedio. Come dicevo non si è insistito abbastanza su questo aspetto centrale del libro e, per certi versi, lo si è, forse non a torto, trascurato. Ma questo è normale perché ogni libro è stratificato e innesca più letture, cosi come ogni scrittura ha più sedimentazioni. Si è invece sottolineato la circostanza che si tratta di un romanzo in versi (Renato Minore, Michele Brancale), che è un’autobiografia in forma di poema (Nicola Vacca, Vincenzo Guarracino), il canzoniere di tutta una vita (Elisabetta Beneforti).

Ma perché scrivere coincide, sempre, con la questione del cominciamento, dell’inizio?

Marco Ciaurro