Istà
Andrea Longega
Pagine 106
Prezzo 13 euro
ISBN 979-12-81825-12-3
Tempo di pienezza e di ardore, in questo libro di Andrea Longega l’estate diventa desiderio di pace da trovare nei ritmi che rallentano e nello stare coi corpi mentre guardano il mare. Quello che scorre nelle quattro sezioni che compongono l’opera, suddivise per anno – 2020, 2021, 2022, 2023 – è una sorta di diario di viaggio, ambientato soprattutto a Creta, dove il poeta è solito “disperatamente” ritornare ogni istà, spinto da un desiderio di riconoscersi e di animare un ricordo. Addirittura chi prende parola pare pregare affinché si fermi il tempo nell’isola amata, non solo per impedire che sia consunta dallo sguardo turistico (come Venezia, città dell’autore), ma anche perché, se quel tempo si ferma, si ferma anche il proprio tempo. Vediamo bambini che scavano buche in spiaggia o in bicicletta, donne che chiacchierano in acqua, pescatori, cene negli alberghi, uomini che trascorrono giornate sotto il sole, guardando il mare, che a volte è un teatro, a volte Nuereyev malato. In questi frammenti risplendono epifanie legate al mito, cortocircuiti tra tombe minoiche usate dai tedeschi durante la guerra e le fotografie dei turisti, le stelle di Saffo e i lampioni, parole come Odissea, episteme, che fanno risuonare in profondità la cultura appresa.
Il dialetto veneziano (con incursioni ironiche o stranianti dell’inglese e del greco), ispirato e in punta di lirica, non si stacca mai da terra, eppure una luce sposta sempre il punto di fuga della scena più in là, facendo restare in gola il gropo di una voce che non vuole lasciare il mare.
Come qua a Rialto
o in uno dei tanti campièli
cussì a Chania le dòne
par far un poco comarò
le pùsa le spòrte e qualche strassa
a ’l inissio de la rampéta
coi scalini tuti smagnai
e le se cala in aqua, pian,
i costumi intieri, le carni sfàte…
… ma no passa tanto che,
ti le vedi, le deventa bele,
le deventa lezière,
tagiàe a filo de pansa
da un mondo altro,
tuto luce, color turchese.
Come qua a Rialto / o in uno dei tanti campielli / così a Chania le donne / per spettegolare un po’ / appoggiano le borse e qualche straccio di vestito / all’inizio della rampetta / con i gradini tutti smangiati / e si calano in acqua, piano / i costumi interi, le carni sfatte… // … ma non passa tanto che, / le vedi, diventano belle, / diventano leggere, / tagliate a fil di pancia / da un mondo altro, / tutto luce, color turchese.
Kiriàkos
El ne ga portà tute le do volte in cusina
pensando che no capissimo
gnanca le parole scrite in inglese
el parón de quel ristorante
su quela strada longa e traficada
vissin al porto de Heraklion –
el ne ga mostrà le terìne co le verdure
la carne e altro che davero no se capiva
ma nuialtri savévimo za
che gavaressimo tólto da nòvo el pòlo
e che lo gavaressimo magnà fòra
sóto la tetòia, co intorno a vardarne
i oci invarigolài de quel sechissimo
gato minoico – el gròpo in gola
gavévimo, de ’l ultimo giorno.
Kiriàkos
Ci ha portati tutte e due le volte in cucina / pensando che non capissimo / neanche le parole scritte in inglese / il padrone di quel ristorante / su quella strada lunga e trafficata / vicina al porto di Heraklion – / ci ha mostrato le terrine con le verdure / la carne e altro che davvero non si capiva / ma noi già sapevamo che avremmo preso di nuovo il pollo / e che lo avremmo mangiato fuori / sotto la tettoia, con intorno a guardarci / gli occhi strabici di quel magrissimo / gatto minoico – il nodo in gola / avevamo, dell’ultimo giorno.
El xe là che li spèta
e no ’l xe gnanca un campéto
fato e finìo – xe solo che un spiasso
de tera e sassi incornizà da un còrdolo
de cemento, na unica porta: do pière
do spuntoni, pericolosi anca – e ’l balón
butà là, in centro o in un cantón
da tute le sere prima – el xe del campo
el balón e de nissun dei putèli.
È là che li aspetta / e non è nemmeno un campetto / fatto e finito – è solo uno spiazzo / di terra e sassi incorniciato da un cordolo / di cemento, un’unica porta: due pietre / due spuntoni, anche pericolosi – e il pallone / buttato là, in centro o in un angolo / da tutte le sere prima – è del campo / il pallone e di nessuno dei bambini.
San Giorgio
Lo davo za par morto el vecio co la casa
vissina ai scavi de la casa de Fidia
e invense dopo na setimana ecolo qua
come sempre sentà su la carèga
in mezo de quelo che podarìa esser
un giardin e che invense xe solo
un mùcio de intrighéssi – pentole
e tecìni sóra un tavolin, un pèr de calséti
e na suca tacài sul spago, un àlbaro
de limoni che no me ricordavo, co tuti
i bei limoni a marsìr par tera – su la réde
note varie par i postini ma anca un cartèlo
più grando, dove che ’l invita el ladro
a riportarghe la capra – in nome de San Giorgio.
San Giorgio
Lo davo già per morto il vecchio con la casa / vicina agli scavi della casa di Fidia / e invece dopo una settimana eccolo qua / come sempre seduto sulla sedia / in mezzo a quello che potrebbe essere / un giardino e che invece è solo / un mucchio di cianfrusaglie – pentole / e tegamini sopra un tavolino, un paio di calzini / e una zucca appesi a uno spago, un albero / di limoni che non mi ricordavo, con tutti / i bei limoni a marcire per terra – sulla rete / note varie per i postini ma anche un cartello / più grande, dove invita il ladro / a restituirgli la capra – in nome di San Giorgio.
- Istà – Andrea Longega
- da Il Piccolo del 19 settembre sulla collana Gialla e Gialla Oro e Laboratori critici
- dal Gazzettino del 19 settembre sulla collana Gialla e Gialla Oro
- da Il Popolo del 18 settembre sulla collana Gialla, Gialla Oro e il nuovo numero di “Laboratori critici”
- La Gialla Oro a Pordenonelegge – 21 settembre