Giovanni Fierro su “Prugne sulla pelle”

 

Da Fare Voci

 
 

È un esordio riuscito, quello di Chiara Baldini, con la sua raccolta poetica Prugne sulla pelle. Queste sono pagine dove il concetto di ferita, ma anche il suo essere parte del vivibile, è una possibilità di trasformazione, di crescita. E il corpo diventa il luogo di questo manifestarsi, e permette alla parola di essere il laboratorio di una narrazione intima, e necessaria. Chiara Baldini mette in evidenza una scrittura che è tessuto ricco, che vive di più intrecci. Così i suoi testi costruiscono lo spazio dove poter stare, lo inventano e lo fanno diventare tensione. A contare quante, e dove, sono le Prugne sulla pelle.

 

Intervista a Chiara Baldini

 

Di cosa si nutrono le tue poesie?

Per quanto cerchi una dieta varia, di fatto sono sempre stata una nostalgica e, come tale, il gusto per l’occhio al passato è per me quello più forte. Ad esempio, la mia prima silloge, rimasta inedita nella sua interezza, dà voce a oggetti dimenticati in una soffitta che, riscoperti, ricordano la propria storia. Le poesie presenti in Prugne sulla pelle sono nate in questo grembo, ma hanno una bocca più pulita dall’insistente retrogusto della memoria, piena soprattutto di bisogno. Quel bisogno che nasce solo dopo un percorso doloroso: il bisogno di svuotarsi, riconoscersi e poi riempirsi di nuovo. A nuovo.

Hanno trama fitta e parlano senza gridare; sta in questa tensione il loro equilibrio?

Sono contenta che, nel complesso, la lettura di Prugne sulla pelle restituisca un’idea di equilibrio. Equilibrio / tensione è un accostamento che mi fa pensare subito a un funambolo, probabilmente perché mi sento tale, non solo nella scrittura. Uso proprio questa parola nella poesia Briciole (pag. 46), di fatto una poesia d’amore: Noi sempre così funamboli tra buono e sciocco fatti uguali (…) Stare su un filo e non cadere è un po’ tutta la vita. Possiamo farlo con forza ed eleganza. Accettare eppure batterci, fare pace infine con la vita stessa, nonostante essa ci porti le Prugne: i lividi, il male da affrontare. Così si lascia andare il dolore senza necessariamente gridare, per riprendere le parole della tua domanda. Nel mettere insieme questa raccolta ho compiuto un atto di onestà con me stessa, decidendo di toccare temi come la malattia e la morte con la consapevolezza non tanto dell’esposizione agli altri (non scriverei altrimenti) quanto a me stessa: mettere su carta è ammettere che tutto è successo davvero e che quindi va vissuto. Ogni poesia in questo credo si accompagni, si faccia mutua forza. Ogni poesia è un piede messo davanti all’altro nella camminata sul filo.

È il corpo il luogo privilegiato dell’accadere di questo tuo scrivere? perché?

Ad essere sincera è la prima volta che mi concentro sul corpo, proprio per il tema scelto e per quel bisogno di svuotarmi e riscostruirmi. Il corpo è qui il luogo del male da raccontare, da affrontare. Direi che è il luogo della vita stessa. Non parlo solo del mio corpo, ma anche di corpi a me cari, uno incastrato nella sofferenza e uno che non c’è più. Parlo di malattia corporea e di male spirituale; quindi il corpo è anche il guscio dell’anima. Più in generale, quando scrivo mi affido a immagini che vedo solide davanti a me, spesso ancora prima che arrivi la parola giusta. Si potrebbe quindi dire che sono fisica nel mio fare poesia.

Giovanni Fierro

 
 

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