Giovanni Fierro su “La gravità della soglia”

978-88-96526-07-1

Giovanni Fierro su “La gravità della soglia”

Fra le pagine della mia copia di ‘La gravità della soglia’ c’è ancora lo scontrino di quando l’ho comprato a Udine, alla libreria Moderna Udinese, e la data dice 18 ottobre 2011. E in più mi ricordo che già dopo la prima lettura volevo scriverti a riguardo. Pensa tu…
Lo ritrovo con piacere, perché lo ritrovo con una certa frequenza, e questo mi piace, perché è un qualcosa che vivo con una certa intimità. E ogni volta è motivo di nuova scoperta. Non sta mai fermo questo libro.
Ma proprio, forse, perché è un accadere in cinque movimenti, dove tutto apparentemente è contenuto. E invece, e fortunatamente, si sposta di qua e di là, a cercare il proprio respiro.
Mi piace trovare che la parte iniziale ha a che fare con le parole, e ne cerca un significato.
Dove le parole sono come le lucciole, a dire di un volo, di una luce, di una fragilità e di una verità.
È il punto da cui iniziare, per poi affermare di come il vivere (pag 18), ma penso anche lo scrivere, è “come un pendolo tra coraggio e paura”. Ogni giorno.
E questo è il pertugio da dove entrare, in queste pagine tese, che si fanno carne ed esperienza, dove trovo che “la vita ti lascia senza motivi”, proprio perché, penso io, ti scortica e ti consuma. E ogni volta è lì, pronta a costruire una perdita, a mostrarti una possibilità che non c’è.
“Esistere con le parole che vedo”, e dici niente, anche perché le parole che vedo sono quelle che scrivo. È il riparo?
Perché poi penso che ogni vita è a un passo dal diventare tragedia, ancor prima che si compia per quello che può essere, per la sua potenzialità e possibilità. Siamo così, no?
E qui, fortuna o sventura, non ci sono preghiere possibili.
La sedia di paglia mi ricorda la ‘Sedia di lillà’, una canzone di Alberto Fortis, anni ottanta. Vai a sentirla….
Siamo padri io e te, e siamo figli. E allora ti dico che mio padre lo cerco ogni giorno, a volte so dov’è altre volte no… e queste domande forse sono una tappa, infinita, di crescita. Forse di uno stare al mondo, dove trovare il proprio posto, il proprio sentire e quel prezioso gesto umano che è vivere. Padri…
Ma dopo tutto questo, una fatica necessaria, penso ai testi di ‘di spingermi più in là’, ed ecco il bisogno di qualcosa di più ampio, di un orizzonte aperto. Certo, il cielo è distante, e allora il mare è l’azzurro che serve, a portata di mano, il cielo dove immergersi e trovare con i piedi le radici, lasciare andare via la malatempora e stare meglio. Quante cose in queste pagine.
“Di tenerezza resta la voglia”, “con le parole che non riesco”. In due passaggi metti in chiaro il benvenuto in questa sfida, che chiamiamo poesia.

Giovanni Fierro

 

[da http://robertocescon.com]