Gian Mario Villalta su On Home Ground – La Repubblica


 
Da Repubblica
 
 

Giovanni Pascoli ha goduto di rinnovate letture, nel corso del Novecento: quanto è bastato per custodirlo in alta quota nel canone ufficiale della poesia italiana, dalle interpretazioni critiche agli spazi rilevanti nelle antologie scolastiche. E a partire dal discorso di Gianfranco Contini su “Il linguaggio pascoliano” (1955, poi raccolto in “Varianti e altra linguistica” nel 1958), il poeta di “Myricae” vanta una sequenza di attestazione della sua “moderna” grandezza.

Contini propone un Pascoli all’altezza dei temi principali del grande tardo simbolismo europeo e, soprattutto, lo riscatta dalla assimilazione a baluardo della perduta classicità e insieme perpetuatore del piagnisteo piccolo borghese. Perché, di fatto, se Sanguineti non è stato giusto con Pascoli (“Introduzione” a “Poemetti”, 1971), identificando nell’opera le paure e gli angusti sentimenti di una vasta parte della nuova piccola borghesia dell’Italia postunitaria, ha colto quella che è stata per lungo tempo la lettura che lo rendeva il preferito delle zie nubili e delle maestre. Sanguineti lo ha così inchiodato, con beffarda efficacia, all’interpretazione familiare al suo persistente “pubblico”. E qui è necessario chiarire: oggi Pascoli lo leggono i critici e i poeti.

A scuola viene studiato per obbligo. Non ci sono diffuse schiere di insegnanti di scuole primarie e secondarie che conoscono almeno cinque poesie di Pascoli a memoria e non vedono l’ora di far leggere “La cavalla storna” o “L’aquilone” a chiunque. Se non comprendiamo questa profonda differenza di contesto, ci sfugge parte della questione: le poesie oggi selezionate dalle antologie, o almeno la maggior parte di esse, non sono neppure quelle che andavano per la maggiore. La poesia “Valentino” (Oh! Valentino vestito di nuovo, / come le brocche dei biancospini!), imparata a memoria tanto da mia madre quanto da me, decenni dopo, nessuno oggi oserebbe proporla. E qui troviamo il punto: credo si tratti di una questione di “orecchio” poetico, di un dato estetico immediato.

Gian Mario Villalta

 
 
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