da Il Manifesto del 2 gennaio 2021

 

da Il Manifesto del 2 gennaio 2021

 

La pandemia sta generando, in questi mesi, anche molta poesia, ed è naturale, essendo quest’ultima capace di misurarsi con gli orizzonti della vita (e della morte). Così sono uscite anche molte raccolte a più voci, in questi mesi, la prima delle quali era stata forse Dal sottovuoto, pubblicata la scorsa primavera da Samuele Editore (a cura di Matteo Bianchi), i cui testi hanno il grande merito di trascendere sempre il tema contingente, lasciandoselo alle spalle o perfino astraendosene. E lo stesso merito va ora riconosciuto alla raccolta curata da Gabrio Vitali, Sospeso respiro, appena edita da Moretti&Vitali (pp. 278, euro 25).

Se Dal sottovuoto era composto dalle poesie di moltissimi autori, una o due per ciascuno, Sospeso respiro rappresenta invece il frutto di un’idea editoriale opposta: solo quattro poeti, ciascuno dei quali presente con delle sillogi vere e proprie. Le sillogi sono accompagnate da quattro «profili poetici» scritti dal medesimo Vitali, che a loro volta hanno forma e sostanza di saggi veri e propri: quasi delle monografie dedicate alla produzione complessiva di ciascun autore. E completano l’opera, infine, due interventi di M. Cristina Rodeschini, direttore dell’Accademia Carrara di Bergamo, e di Mauro Ceruti, professore di filosofia della scienza presso l’Università Iulm di Milano, e un apparato iconografico, un percorso attraverso la riproduzione di alcuni quadri evocativi esposti nell’Accademia Carrara.

BERGAMO, fra l’altro, è anche la sede della casa editrice, Moretti&Vitali; a Bergamo, «città ferita», è dedicato il libro; e bergamasco è Gabrio Vitali. Tutto, insomma, si tiene anche intorno a questo moto di commozione quasi involontario, perché Bergamo indica simbolicamente la violenza della pandemia com’era esplosa in primavera: ma non è questo – l’elemento della commozione – il registro su cui è centrato Sospeso respiro. Nessuna indulgenza verso il sentimentalismo fine a sé stesso, in altre parole.
I quattro poeti sono Alberto Bertoni, Paolo Fabrizio Iacuzzi, Giancarlo Sissa e Giacomo Trinci. Li accomuna un fatto generazionale, perché tutti sono nati negli stessi anni, ma anche una certa intonazione, consistente in una capacità di essere lirici e politici al contempo, senza consentire all’una inclinazione di prendere il sopravvento sull’altra: e così, in ultima analisi, in modo da garantire a ciascuna di queste due inclinazioni, che emergono dai loro versi, un proprio equilibrio (e non è casuale anche una comune ascendenza da alcuni maestri, quale Giovanni Giudici su tutti).

LE SILLOGI di Iacuzzi e Sissa (Fiabucce per una madre e Senza titolo alcuno) sono più aperte allo spazio intimo e personale, quelle di Bertoni e Trinci (Un diario poetico e impoetico e Presa di fiato) sono forse più civili tout court. In una sintesi estrema (che fa torto di per sé alla complessità della poesia), potremmo dire che i versi di Iacuzzi ruotano intorno ai giorni dell’isolamento trascorsi insieme alla madre anziana, nella sorpresa, giorno per giorno, di sentirsi vivi; quelli di Sissa intorno alla nostalgia, e dunque alla necessità, dei corpi; quelli di Bertoni intorno alle voci della Storia, nel cui scorrere va inscritto tutto ciò che accade; e quelli di Trinci, infine, intorno allo scarto fra parole vane e parole necessarie. Ma la verità è che, al di là dei dati comuni, ognuno dei quattro autori ha comunque una propria riconoscibilità, netta e precisa, che lo distingue dagli altri. Rimarranno, queste sillogi, come una tappa importante dei rispettivi percorsi.

 

Niccolò Nisivoccia