Ciberneti sulla Rivista Clandestino


 
 
Da Rivista Clandestino

 
 

 
Argomento cruciale e incisivo in Ciberneti non soltanto il processo dell’interferenza tecnologica nel contesto naturale, ma soprattutto il passaggio inverso: la natura che consequenzialmente si intromette a sua volta nelle strutture tecnologiche. Qual è la tua visione e cosa puoi tentare di prevedere al riguardo?
 
«Volevo che i viventi costellassero quello che sarebbe sembrato uno spazio spoglio e asettico. L’idea di indeteriorabilità in architettura e nel paesaggio cerca di avvicinare lo spazio delle idee, di sovrapporlo, a quello che attraversiamo con i nostri corpi e sensi – è una menzogna, come qualsiasi figura che celebra geometrie assolute e superfici pure, un immaginario che questo libro vuole rigettare. Piante e animali non sono considerati quando si edifica un capannone, un nuovo stabilimento – si riassume la loro presenza a un prima: cioè l’incolto o l’area boschiva da spianare, da mondare, e a un dopo – fuori-fuoco perché si trova all’esterno del perimetro dei processi economici rappresentati dall’attività produttiva, ovvero il processo di recupero del tessuto ecosistemico, la dimostrazione di quanto sia effimero il dominio antropocentrico. Nel nostro caso il terzo paesaggio e poi nuove foreste. Nel libro cerco di rammentare la sovrapposizione dei processi, ovvero che qualcosa avviene in compresenza benché, fino a quando ciò non si intromette nelle ritualità machinali, non assume alcun valore agli occhi degli addetti. Mi spiego meglio – un macchinario il cui azionamento prevede l’utilizzo di acqua nebulizzata potrà, nel tempo, essere colonizzato da cianobatteri e muschi – le sue calotte metalliche ricoperte di pulviscolo minerale saranno il luogo nel quale alcuni vegetali si insedieranno, il suo basamento di cemento si ricoprirà in alcuni punti di felci per la presenza di luci elettriche (lampenflora) o di piante troglofile. Nei canali di scolo si potranno incontrare insetti. Se una radice dovesse strozzare uno dei cavi segnale comportando l’arresto della fresa succitata, del motore elettrico, solo allora la sua presenza sarà considerata rilevante. Questa rilevanza, invece, io la attribuisco al fatto che nelle “città-stabilimento” gli elementi fuori-controllo sono la maggioranza e sono un’interferenza. Sono un’apostasia nei confronti di una omologazione produttivista, il governo dell’uomo sulla natura è solo apparente e coincide con un esercizio, questo sì sistematico, di colonizzazione e dominio degli immaginari».
 
Su ogni piano disporremo
 
le cremagliere – l’una sull’altra con quattro metri
a separarle. infine i robot faranno avanti
e indietro su di esse. Mentre gli uccelli
insediati e le volpi volanti, a poca distanza,
copriranno con i loro versi il fischio delle fresatrici
assicurate al polso degli stessi robot.
 
 

 
È evidente quanto il tuo libro riveli un’attenta ricerca sul linguaggio che prevede la selezione di gergo tecnico, lessico specifico, testi estesi e descrittivi. Come nascono e si sviluppano le tue scelte espressive e quale impatto pensi possa avere sul lettore non necessariamente competente nella materia trattata?
 
«La lingua del lavoro è ostile; inoltre riguarda comunità molto circoscritte e che producono delle microlingue (microlingue che si innestano su altro; forme di omologazione linguistica in cui emergono lacerti dialettali, lingua letteraria, lessico giuridico, substandard).
Con questo libro volevo che il lettore sperimentasse la sensazione che si prova quando si è apprendisti e si subisce l’influenza di una realtà con regole all’apparenza adamantine. E che, proprio per questo, ci danno una sensazione di sicurezza; una dimensione operativa che ci dà la parvenza che tutto risponda a una pianificazione, e che noi viviamo nel sogno incarnato di qualche progettista, nello spazio del dominio della mente sulla materia; (ciò che si subisce è un esercizio persuasivo che è facilitato da concetti che ci accompagnano dall’età scolare: “buona scuola”, “alternanza scuola-lavoro”, “meritocrazia” per fare alcuni esempi).
Ciò che ci convince è il rapporto che si instaura tra noi e gli impianti, la ripetizione dei gesti in relazione alle macchine, la proporzione delle macchine (vergogna prometeica), poi le schermate dove sono proiettate interfacce e numeri, il ritmo – quindi i suoni che attraversano il nostro corpo – degli apparati idraulici, il sibilare dei motori.
 

Andrea Carloni

 
 
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