Bianca Sorrentino su Da capo al fine

 

E SAI, PENSO DI TORNARE
di Bianca Sorrentino

 
 

Ci sono storie che hanno la perfezione del cerchio, quell’armonioso equilibrio che non può essere scalfito e che genera incanto e sospensione; tale è il volo di chi custodisce intimamente la segreta consapevolezza che per ogni conclusione esiste un nuovo inizio e che, a sua volta, ciascun principio è soltanto il seguito di qualcosa d’altro. Nella sua silloge poetica recentemente edita, Da capo al fine (Samuele Editore, 2016, prefazione di Silvia Secco), Maria Milena Priviero canta ogni fine temuta e scongiurata, ogni esordio appena intravisto all’orizzonte.

Il tempo qui evocato, dunque, non è quello lineare della vita e della storia, ma quello circolare del ricordo: il sentimento dilata gli istanti e conferisce loro dignità letteraria, facendo sì che un gesto lontano e apparentemente insignificante diventi sorprendente occasione di un certo dirsi poetico. Anche così il cambio di stagione diviene il metter via «il nostro / inverno in grandi scatole», i silenzi degli androni si trasformano in melodia «nel farsi / delle ore in accordi / di note acute e gravi», il rito del caffè è la dolceamara riflessione di chi dice: «rimescolo l’assenza».

Se la raccolta è profondamente intrisa di momenti, altrettanto significativi risultano in essa i luoghi: un paese in cui si ritorna («In fondo è sempre ritorno / un luogo»); un trasloco che segna lo straniante passaggio tra l’universo in cui si è stati e il mondo altro in cui si sarà («quel passo / di lasciare la sua infanzia / smarrita sugli scalini / della vecchia casa / in una scatola di cartone, / stretta nel cerchio convulso / delle braccia, dove stava / coi nati, stranita anche la gatta»); la casa dell’infanzia, così viva nei ricordi e così diversa nella percezione di ciascuno («la casa che si abitava / (come in genere i fratelli) / era la stessa eppure la vostra / non era uguale alla mia. / Ma quale fosse la vera / non ebbe mai fra noi / importanza, ciascuno / viveva la propria»). Questo viaggio costellato di suoni e sguardi è un proiettarsi in un altrove, «un andare oltre il sé, oltre il presente» che inevitabilmente comporta lo struggimento per «un altro piccolo vuoto / per un qualcosa di lasciato a lato / o di perduto».

Tuttavia questo senso di malinconia che permea la silloge è ricomposto dalla calviniana leggerezza di Maria Milena Priviero, che con grazia e ironia si rincorre in corsivo, «trafelata / in quella corsa persa / prima ancora / di ogni partenza». Lo sguardo dell’autrice si sofferma sui dettagli, li accarezza e li restituisce al lettore sotto una luce inedita, originale, gentile. «Questa voglia di restare alla finestra» le garantisce un punto di vista allo stesso tempo lucido e coinvolto, una sorta di pathos della distanza che rende autentica la sua voce. Le sue parole sono frutti della terra che diventano «pensieri liberi / versi indicibili»; i suoi silenzi sono gli «occhi chiusi» e «le mani intrecciate» che, da soli, bastano a raccontare l’amore e i frammenti di una vita che non sanno dissolversi.

 

Bianca Sorrentino

 
 
 
 
DISSOLVENZE
 
Li vedo i giorni alle spalle
in dissolvenza e davanti anche,
senza più attese di cose
o di parole dette
o da ridire. Eppure c’è un luogo
dove vorrebbero posarsi, tornare
sulle rive di un fiume un lago,
di uno stagno se non del mare.
Purché sia acqua a dissetare
gli occhi in questo stare
più seduti ora o di nuovo,
abbracciandosi i ginocchi