Annalisa Ciampalini su Piano di evacuazione

 

Ho letto questo testo più di una volta e sono sicura di rifarlo. Quello che ho potuto sperimentare grazie a queste plurime letture è che ognuna di esse mi ha mostrato paesaggi diversi. Non so dire se a forza di leggere c’è stato un maggiore scavo in verticale, ossia un approfondimento di quanto espresso nel testo, oppure se sono scivolata lungo la superficie, mantenendomi sempre alla stessa quota ma seguendo strade differenti ad ogni lettura. L’esperienza di riesaminare il testo mi ha fatto scoprire un’opera stratificata e complessa, un’autrice in grado di esplorare l’universo in modo dinamico e multiforme, probabilmente grazie a una forma mentale che le consente di interiorizzare una quantità considerevole di immagini e di relazionarle con altro.

Leggiamo a pagina 29: “L’universo è un temporale d’immagini/accatastate l’una sull’altra/ tenute in piedi dagli istanti della durata/come fiume musicale che scorre/nelle abitudini matematiche contratte nel nostro spirito”

In effetti, quello che l’autrice edifica con i suoi versi è proprio un avvicendarsi di varie realtà, tra le quali è difficile districarsi, distinguere la realtà primaria, caso mai ci fosse, da tutte le sue rappresentazioni. Non a caso, in esergo, viene citato Borges: ”Accettiamo facilmente la realtà,/forse perché intuiamo che nulla è reale”.

Ed è probabilmente questa condizione a spingerla a scrivere a pagina 28: “non hai ancora capito che il mondo non esiste?” ma anche, forse per il desiderio di un sentimento di natura opposta: “fermati nella mia nostalgia d’assoluto”.

Mi sembra opportuno, per poter apprezzare maggiormente l’opera, ricordare che l’autrice possiede, tra le altre, anche una laurea in “Archeologia e storia dell’arte del Vicino Oriente antico” ed è stata un membro della “Missione archeologica italiana a Ebla”. A proposito di archeologia, ho letto un articolo scritto dalla Cruciani stessa in cui afferma: “C’è un rapporto di imprevedibilità che accomuna l’archeologia con la poesia: il rapporto con il segreto, con il nascosto, col sepolto che come tale è sconosciuto”. E ancora: ”Nella poesia intervengono il talento, la capacità di discernere, del riportare alla luce il materiale poetico della psiche e la capacità di dargli significato espressivo in un componimento che abbia la stessa coerenza della stratigrafia archeologica rispetto alle categorie di significato dell’anima.” (da Quilibri 13, “Del riportare alla luce”, articolo trovato in rete). Ritengo che il passaggio sopra riportato sia particolarmente utile per comprendere la propensione dell’autrice a trovare analogie, a procedere nelle osservazioni di contesti differenti intuendone relazioni, somiglianze fra i processi conoscitivi.

Ora, volendo individuare un punto nevralgico dell’opera, scelgo il monito che la poetessa rivolge ai lettori, posto all’inizio del libro: “Non sollecitare i versi con la ragione perché non possono essere sottoposti a un valore di carico della logica superiore a 0,025gr/mq.”

L’idea di esprimere il “carico della logica” con una unità di misura precisa, massa/ superficie, manifesta la scioltezza con cui la poetessa si muove da un campo all’altro del sapere evidenziandone le analogie. Ad ogni modo, ciò che le sta a cuore è informare i lettori che la logica dei versi è fragile e che l’utilizzo della ragione potrebbe incrinarli, forse renderli falsi oppure vuoti.  Se è vero che i versi sono sorretti da una logica debole, soggetta a essere invalidata anche nel tempo richiesto dalla lettura, è altrettanto evidente che essi sono modellati con una grande quantità di parole. Accade spesso che i versi siano colmi di termini dal suono pieno che rendono il ritmo animato e inducono il lettore a procedere con una lettura veloce. Molto accurata la scelta del lessico, spesso preso in prestito dai vari ambiti del sapere che in questi testi si fondono in continuazione. Da evidenziare i richiami a Heisenberg e di conseguenza a una realtà che ci pone in crisi, al “Principio di non località”, qui applicato all’amore (….”Il superconduttore dell’amore è non locale” si legge a pagina 25) e al “Principio di causalità”. Non mancano nemmeno i riferimenti alle neuroscienze, alla storia antica, alla filosofia. Tutto un bagaglio di parole che, sapientemente dosate e mischiate con fluidità, hanno la vitalità per costruire realtà credibili e coinvolgenti.

A pagina 21 possiamo leggere: “Ho pensieri sfondati dai paradossi della normalità/come un angelo barbone in equilibrio sul presente/perché c’è più materia che antimateria?”

Qui troviamo in ordine: i paradossi della normalità, l’angelo barbone e la domanda sull’antimateria. Lasciando perdere la logica, molto spesso non familiare alla poesia, la sequenza di questi versi non appare giustificata nemmeno da una successione di immagini in relazione. Eppure la lettura tiene, la successione delle parole suona autentica e lascia incantati. A tenere in vita questo discorso poetico è, a mio avviso, la scelta del lessico che forma una sola cosa con le caratteristiche del mondo reale e delle sue rappresentazioni.

Il verso “Lo spazio è tempo deformato intorno alle cose” che possiamo leggere a pagina 31, può essere visto come una sintesi poetica della concezione dello spaziotempo elaborata da Einstein nella “Teoria della relatività generale”. E il lettore si sente trasportato con forza proprio in quelle immagini scure, presenti nel web, dove spesso troviamo una sfera in mezzo a una superficie che si incurva.  Non importa se a incurvarsi attorno alla massa è lo spaziotempo, oppure è il tempo che deformandosi diventa spazio. I versi corrono impetuosi come torrenti, densi di parole e di suono e non resta che prenderli per veri. Prosegue la poetessa: “Herr Zeit è sempre in ritardo/ ha un ritardo implicito a manifestarsi/ come una donna che si prepara in bagno per ore/solo la durata restituisce l’allestimento di questa illusione”. Bellissima quartina, illuminante, anche perché precipita nella descrizione di una condizione del tutto umana: la donna che si fa bella in bagno non diventerà mai tale se non lo è, ma può credere di esserlo in potenza nell’intervallo temporale in cui, freneticamente, si dedica a truccarsi, a pettinarsi, a trovare il vestito adatto. E qui mi pare di cogliere un’analogia tra la durata dell’illusione della donna e la durata della verosomiglianza delle molteplici realtà descritte. La consistenza dei mondi rappresentati mediante la scrittura di Flaminia Cruciani è intermittente, regge nell’intervallo temporale in cui avviene la lettura grazie al talento della poetessa.

Dove si trova la poetessa mentre parla? Qual è la casa del pensiero poetico che ci viene svelato? Il libro si apre con i versi seguenti: “Partecipo al destino della materia/provo il mondo mi sta stretto/cammino fra pagine di fuoco a piedi nudi” La poetessa partecipa al destino della materia quindi si trova avviluppata con essa riconoscendosene parte. Sembra che il suo pensiero si formi prima che il tempo abbia inizio, oppure mentre è seduta su un trono di un tempio remoto. Tuttavia il mondo le va stretto: ecco perché cerca, con tenacia, un piano di evacuazione. Avverte l’urgenza di fuggire dal mondo reale, chiamiamolo pure visibile o condiviso, ma anche da tutte le sue rappresentazioni, necessita di un piano ben progettato per raggiungere un punto non compreso in nessuna realtà. Andarsene davvero, svanire. Ma dove può essere uno spazio esterno alla presenza, così totalizzante, dei mondi descritti? Forse, proprio come le altre realtà create da Flaminia Cruciani, esso nasce grazie alla poesia. Ma naturalmente è solo un’ipotesi.

A volte il ritmo concitato si placa, i versi densi di parole si risolvono in una fine dolce, di riposo, ed è proprio in questi piccoli spazi che vanno a collocarsi i momenti più poetici. A pagina 45 leggiamo: “Qual è la ragione della mappa? /Ma io sono già la rappresentazione di me stessa/la mappa rappresenta il corpo nel cervello”. E successivamente, a pagina 46 troviamo: “No la mappa servirà quando/toccando la guancia gli prenderò la mano.” E in questi due ultimi versi, quieti e delicati, troviamo la poesia e la verità di essere umani.

 

Annalisa Ciampalini