Affrontare la gioia da soli su YAWP

 

 

da YAWP

 

Una volta, in una intervista, Francesco Tomada mi disse una verità: «Per chi scrive accettare il proprio silenzio è la cosa più difficile». Per i lettori, si potrebbe tradurre in un certificato di garanzia che reciti più o meno così: Tomada scrive, solo quando c’è da scrivere. Ecco perché ne aspetto sempre con gioia una nuova pubblicazione, che questa volta arriva nella nuova collana Gialla Oro passata alla Samuele Editore: Affrontare la gioia da soli (2021). Sempre nella stessa intervista, sciorinata in poche parole, Tomada raccontò con estrema umiltà una paura che, come gran parte delle paure, si è trasformata presto per chi la prova in una verità che ha funzionato da motore creativo e per chi invece la legge in una paura che si scopre condivisa e anni

 

entata tra gli abbracci delle righe: «Il problema è che non vedo un nuovo percorso, la paura di ripetermi è fortissima. Chiaro, purtroppo o per fortuna io scrivo così, non mi metterò a sperimentare per il gusto di cambiare o di dimostrare che so farlo, non me ne frega niente. Accetto che la mia voce sia il mio confine, e magari continuerò a scrivere di famiglia genitori figli per sempre, anche se ci terrei molto ad affrontare temi sociali. Però, qualsiasi sia la strada, ci dovrà essere un motivo per seguirla, altrimenti spero di avere la forza di tacere».

 

Questo connubio tra biografismo e tematica sociale si palesa fin dalla dedica, dove compare tra gli altri il nome dell’amico poeta Christian Tito. Ed è, in effetti, qualcosa che nella poesia di Tomada non si era ancora visto, una apertura così grossa alla coralità accolta dalla prima sezione, Il mare in Transalpina. Qui un gruppo di poesie fa da casa a un affresco di personaggi, che hanno tutti qualcosa in comune: una battaglia da perdere. C’è anche un tentativo di prosimetro, quasi a cercare una voce che sia comune a tutti in una distensione eguale, una voce per tutti: «Quando nevica d’inverno i fiocchi sono grossi e lenti, come quando | capovolgi quelle sfere trasparenti che contengono un paesaggio. || Rovescia ancora quella sfera. | Che la neve si raccolga nella concavità del cielo. | Che la terra discenda nel vuoto delle gallerie da dove è venuta. | Che tutti gli uomini risalgano salvi». Che sia quella prosa su cui ci diceva di stare lavorando?

 

Poi però, il Tomada che ha paura di ripetersi emerge. Solo che non ha niente a che fare con la ripetizione: è incredibile la sincerità con cui Tomada consegna ai lettori la propria biografia, una «sincerità spietata». Mano mano che una raccolta segue l’altra, ne emerge una storia che continua dove Tomada ci aveva lasciati, in una scrittura che è «letteratura come vita». La sezione Sono stato il padre di mio padre ha un titolo che parla della propria forza da solo, certificato subito dalle poesie: «Ho fatto da padre a mio padre | forse ci siamo invertiti di posto | per capire se almeno così | poteva funzionare […] e poi un giorno mi ha detto | io per te non avrei mai fatto questo | non so davvero non so | però da qualcuno devo avere imparato». Bisogna ricordare che, in un lavoro passato, Tomada aveva scritto immaginando di essere la voce di sua madre, in una serie poetica onirica creata di getto.

A cura di Antonio Merola

 

 

 

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