Una domanda al poeta: Lucianna Argentino

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da Laboratori Poesia
 
 
Tra la folla ho cercato di toccare
un lembo della sua veste
perché fosse solo mio il miracolo,
perché si arginasse l’emorragia di me
e l’imprecisa memoria
disegnasse un volto nuovo al dolore
custodito nelle sue mani
e fosse fatta salva la mia anima
con poca resa se non la curva
che fa il cuore quando si china
stupito. La mia vita me l’hai data tu,
mi dice lui e l’attimo si sbriciola,
si fa polline per un tempo andato
che torna lacero e sfinito
ma vivo e sativo.
 
 
 
 

Carissima Lucianna,

dopo aver letto il tuo bellissimo In canto a te (Samuele Editore, 2019) ed essermi confrontato profondamente con esso, anche per la tematica che trovo molto affine a me, vorrei porgerti la seguente domanda: come si riesce a dire di noi, in Poesia, evitando di dire troppo di sé? Senza scadere in un ego eccessivo, nemico troppo presente della poesia? In canto a te è un libro bellissimo, tutto tessuto tra riferimenti personali ma mai personalistici. La poesia che ho citato ne è un esempio mirabile.

Grazie mille.

 

Paolo Parrini

 
 
 
 

Carissimo Paolo,

è una domanda impegnativa e importante, che riguarda chiunque faccia arte, anche se per me la poesia è qualcosa di più e di diverso dall’arte, ma questo è un altro discorso. Credo che il fulcro della questione che mi poni sia il e nel linguaggio attraverso il quale qualcosa viene espresso e nel coraggio. Sì, nel coraggio di penetrare profondamente dentro sé stessi, attraversare tutto ciò che si è vissuto e si è interiorizzato e giungere dove l’io che siamo si frantuma in tutti gli io che hanno fatto di noi ciò che siamo perché ogni essere umano è il frutto di relazioni (a cominciare da quella che ci ha dato la vita) e soprattutto dove il nostro io incontra l’io universale. È un viaggio di spoliazione, durante il quale non si teme di stare esposti alle nostre ombre, di lottare con esse per scoprire la luce che nascondono e che comunque mai si affranca del tutto dall’ombra. E in questo viaggio liberare il linguaggio dall’abitudine, usandolo e lasciandoci usare in modo che, oltre all’esattezza del dire, riusciamo a combinare le parole rendendole veicolo di bellezza e di verità. In “In canto a te” sono stata aiutata dall’amore perché anche l’amore è uno spogliarsi di sé per raggiungere e accogliere l’altro. Inoltre nonostante l’oggetto dell’amore sia un tu che ha un nome e un cognome, in fondo non è mai un tu ben definito, credo, infatti, che quando si scrive d’amore ci si rifà ad una immagine ideale dell’amato o dell’amata – o dell’amore stesso – che per questo diviene universale.

Grazie a te per avermi proposto questo tema difficile, ma affascinante.

 

Lucianna Argentino

 
 
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