Luigi Oldani Haiku Italiani
recensione di Toni Piccini
Leggendo questa raccolta di Haiku ho avuto una sensazione di continua vicinanza del vento: ciò è frutto del come l’autore lo ha disseminato nelle pagine, quasi a farne filo invisibile, talvolta anche al servizio della domanda.
Amo il vento
né acqua né terra
pesce in fuga?
Un vento mai invadente che scorre continuo al fianco, non a folate. È viaggio che non termina sul confine del canone classico a cui spessissimo l’haiku viene abbarbicato in Italia: lo varca, va oltre e, da vento continuo, non travolge il recinto ma ne fa progressivamente cadere le pietre, quasi senza rumore, sino a rendere orizzontale il passo della penna. Una penna libera di attraversare rigidi paletti senza con ciò sconfinare l’Haiku: vedasi l’abbandono della sequenza sillabica 5 – 7 – 5, vista ancora oggi in Italia spessissimo come sacralità, mantra recitato di frequente a vuoto e senza approfondire lo spirito che caratterizza questa forma (e ancor più essenza) poetica.
Lascio cadere
parole mai nate:
vento d’inverno.
Mentre arrivi
un soffio di vento:
libro aperto.
Due testi caratterizzati da stati d’animo opposti: nel primo in un apparente ossimoro l’assenza che determina mancanza (“vento d’inverno”), nel secondo l’imminente presenza che reca gioia (che è, se non gioia, un libro aperto? Che libro aperto sia la persona che arriva o sia un libro da scrivere con quella persona, la sensazione è comunque di gioia).
Fra i libri di Haiku scritti in italiano trovo questa raccolta tra le più interessanti e, pur se Haiku italiani è il titolo scelto dall’autore, tranne qualche nome proprio i componimenti potrebbero aver luogo senza confine geografico o con collocazione lontana, vedi il componimento che apre la raccolta.
È il vento rosso
di Kamakura dove
ero e sono.
È Kamakura specificazione geografica di quel soggetto che è l’insolito vento rosso? O è il vento rosso cornice di Kamakura? Ci troviamo così in quello spazio di libera interpretazione che la poesia Haiku muove in noi, e in entrambi i casi Oldani varca il tempo: “ero e sono”.
Un pregio della raccolta è che i testi scorrono lungo una sorta di linea orizzontale, non per piattezza ma grazie al lavoro che l’autore ha fatto su se stesso e propone in alcuni testi, ovvero la pratica dello zen… la meditazione, il ringraziamento, un vecchio monastero, luoghi di meditazione citati con i loro nomi originali, quasi a spingere alla ricerca chi non li conoscesse.
Zazen all’alba:
si apre di incenso
il mio cuore
Zen che, al pari di buddismo e shintoismo, attraversa la poesia Haiku. Zen che viene proposto più volte nell’arco della raccolta, e così la luna, gli aceri, i gatti.
Foglie e fiori
e neve senza vento:
lassù la luna.
Un quadro immobile (i primi due versi) evidenzia un soggetto apparentemente immobile (la luna).
Concludo segnalandovi questi Haiku, prima di lasciar scoprire a voi gli altri che compongono la raccolta di Oldani di cui, oltre a quanto scritto, sottolineo la pulizia della scrittura e l’assenza di costruzioni retoriche o, peggio, auliche.
La luce è bianca
guardando i crisantemi
mi vedo solo.
Del mare mosso
ha l’odoroso alloro,
nero è il cielo.
Con la giustapposizione del cielo nero a un qualcosa d’indefinito e al tempo stesso ben caratterizzato ricorrendo a ciò che proviamo alla vista d’un mare mosso e all’annusare foglie d’alloro.
Quando piove
qualcuno si muove
non siamo soli.
L’erba ricresce
sotto il ginocchio:
il mio cuore
Dolce prato verde
del mio dolore sento
il niente qui.