Teoria del pirata – Riccardo Raimondo

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Se Riccardo Raimondo si presenta come il pirata di tanti mari e viaggi e imprese, è molto probabilmente il moderno alter ego del bateau ivre di Rimbaud, anche perchè le avventure coincidono con la parola fervidamente creata, accesa, animata, condotta fino alla visione celeste, con tutta la coorte di stelle, luna, sole, paesaggi visitati e inventati. Geografie è, infatti, il titolo della seconda e fondamentale sezione della raccolta poetica di Raimondo: e gli approdi a cui il pirata arriva sono esotici e famigliari, Rabat e Via del Plebiscito, Villa Bellini e Dallas, Marzamemi e Corso Italia, Londra e Parigi, e le esplorazioni poetiche sono sempre attraversate da rapide ironie, da stupori giocosi e da descrizioni incisive, ora beffarde ora saporosamente morali. Su tutti questi itinerari il racconto e l’accumularsi di particolari vividi e spesso colorati passa la parola, che li evoca e li suscita, e ad assaporare il discorso ecco spuntare l’eco leopardiana che ha tanto spesso il nome magato dalla Luna.

L’altro accompagnamento musicale e divertito è dato dalle metafore fintamente crepuscolari, fortemente rilevate dalle rime. La seconda parte di Via Plebiscito è una splendida dimostrazione dell’estrema sapienza poetica di Raimondo, così come Villa Bellini, con lo svolazzo elegantissimo e ironico della parte del testo in cui la descrizione del luogo e delle figure che lo animano si arresta e giunge fino al gioco dei sentimenti che è non realistico e autentico, ma la migliore sfida della parodia: Il mio cucciolo di cuore / s’è accasciato dolcemente / sul verde-panchina / – a pochi metri / ma distante / enormemente dalla scena – / e io qui mi faccio / passero solitario / e miro / oltre il colle / il sospiro di più alte foglie. È da rilevare nel modo più netto possibile la capacità di Raimondo di accogliere gli echi leopardiani e, con tutto il rispetto, poi modificarli per molta forza di ironia.

Nei suoi viaggi il pirata tocca luoghi e figure e ne rileva gli aspetti mutati o anche parodici nella memoria d’altri tempi mitici e avventurosi. Penso alla conclusione di Dallas, dove descrizione e malinconica pietà si intrecciano, con la difesa tuttavia del gioco ironico per evitare di lasciarsi andare alla piena della memoria perduta: Dallas fra le strade / spersonalizzate: / niente marciapiede, / niente passeggiate.  Solo a volte / qualche bisonte appare. / A vederlo è più confuso dei suoi avi: / fa un gesto / come di saluto con la testa, / una specie di fiacca / sbadatissima protesta. Le due città canoniche, Londra e Parigi, sono da Raimondo scoperte nella capacità di evocare da quartieri e piazze e vie le apparizioni vere e quasi araldiche al tempo stesso, come la distratta volpe londinese e come il Louvre che è coca cola.

(dalla prefazione di Giorgio Barberi Squarotti)

 
 
 
 

Teoria del pirata
 
Vaga era
sul solco della sera
la mia anima fiacca
per il peso del viaggio.
 
Fino sull’orlo dell’inizio
il ritorno fu lentissimo
 
e poi d’un tratto
 
il lampo
 
Ero io, non ero io?
 
La Parola conquistò
tutto lo spazio dentro
 
e
 
catapultatasi          fuori
 
si gettò alla conquista degli astri
 
Ora i miei sospiri
viaggiano così:
 
fuggiaschi
 
Di bolina li catturo
e m’aiutano a solcare
questo mare d’oblio.
 
E mai una volta
che mi sia venuto in mente
d’essere io a tracciare la rotta,
dominare l’orizzonte,
la meta…
 
 
 
 
Pausa caffè
 
Un raggio di sole si schianta
nella tazzina buia,
rimbalza
nell’anima mia
come una palla pazza di luce.
 
Se guardo nel pozzo nero
di caffeina
anche il pozzo vuole
guardare me
 
i poeti non vanno mai in vacanza
 
 
 
 
Via Plebiscito
 
È tutto un complesso di cose
che fa sì ch’io t’ami ancora…
 
non è l’odore di nuovo detersivo
che si mischia al fetore di cadavere
di macelleria, non è il netturbino
privato – “servizio autonomo di pulizia” –
che raccatta per le strade lasciti
di pattumiere oleose, generose.
E non è il negozio bomboleagasse,
non sono gli scoli della pescheria
che si diramano come matasse
esplose,
non sono le pesche di nonna Rosalia
fresche, odorose, non sono
neanche le pagnotte profumate
di lievito antico, inviolato,
accudite nei forni a legna
come i briganti la trovatura.
 
Non è la verdura rubata
che sa meglio di quella dell’aucian,
di quella civile,
non sono le arance delicate
rosse come il sangue del cavallo
che spira dolore di fiele,
scannato nel macello clandestino.
Non sono le arance
dense di schiuma e succo
come il grasso delle polpette
di ciuco alla brace.
Non è il tuo sorriso,
la bella chiesa che mi racconta
del tuo barocco sacro
feroce, dalla facciata che si getta
nel poco marciapiede disponibile,
dove spesso le tue figlie
vanno all’elemosina.
 
Non è la calura disgustosa,
l’aria umida, violenta,
afosa, non sono le tue spose
esposte, immortalate
nei ritratti dei fotoinun’ora.
 
Non è nessuna tua
bruttissima dolcissima creatura
a farti così bella,
ma è
il silenzio della sera
quando cala
e tutto ammanta e tutto unisce
come un sentimento che t’indora
t’accarezza, t’adorna di stelle,
ti custodisce finché non ritorna
il mattino crudele che ti porta
un’altra fatica,
otto ore di mestiere ingrato…
 
È il silenzio della sera
quando cala
piano piano
e si posa come un velo
sul pezzetto del tuo cielo
e lascia
quel sentore di mistero:
altissimi e bassissimi furori
che si placano sotto la tua Luna.
 
Via Plebiscito
ferina. Tutti devoti tutti,
per fortuna.