Tenere insieme su Semicerchio

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da Semicerchio

 

Tenere insieme è una ‘pala poetica’ divisa in tre ante, ciascuna delle quali incornicia un lasso di otto anni – Uno (1995-2002)Due (2003-2011) e Tre (2012-2019) – ed è scandita da cinque sottosezioni. Sarebbe improprio considerarla un’auto-antologia dato il lavoro di riscrittura e risistemazione concettuale cui Del Sarto sottopone la propria opera pregressa (ma non mancano inediti). Non è del resto la prima volta che lo scrittore apuano rivede componimenti già pubblicati e li articola in un nuovo assetto. Un agile volumetto di Poesie scelte (1996-2013) è apparso giusto otto anni or sono (2014) per i tipi delle Edizioni Progetto Cultura; la silloge ospitava testi tratti dal libro d’esordio I viali (Atelier, 2003) e dal successivo Sul vuoto (Transeuropa, 2011), montati secondo una diversa disposizione. Al 2017 risale poi Il grande innocente (Aragno), lavoro accompagnato da un intervento critico di Laura Pugno. A detta dello stesso autore, le tre raccolte compongono «una sorta di trilogia del tempo» centrata sulla «vicenda di Gabriel, personaggio che assume in sé l’arcangelo biblico, il Gabriel de I morti di Joyce, il narratore (voce spesso assai prossima all’autore storico, in carne ed ossa) ed altri Gabriel che la letteratura e la vita mi hanno fatto incontrare» (così la Nota che chiude Il grande innocente). Ma più che a un tentativo di storicizzarsi, il disegno stratificato di Tenere insieme risponde a un’esigenza di rincorrersi avanti e indietro lungo l’asse temporale: registra cioè un percorso esistenziale per vedute successive, per progressivi slittamenti biografici e memoriali. Lo si potrebbe paragonare a una tela pittorica, a un autoritratto che ai raggi X rivela un sovrapporsi di forme (gesti, vicende, pensieri, patimenti e malie) sepolti ma non perduti. I ritratti più recenti non annullano i più antichi: semmai li inglobano, e i tanti sé che il calendario e le circostanze moltiplicano sono ‘tenuti insieme’ dalla fedeltà al personaggio-Gabriel, la cui ombra si distende ovunque – et pour cause, se consideriamo che l’angelo dell’Annunciazione è il patrono delle comunicazioni e che l’autore si occupa professionalmente di consulenza e formazione. La Ghost Track conclusiva chiude il cerchio onomastico-identificativo su una nota luttuosa, ma non lugubre, e anzi di apertura vitale, forse addirittura di redenzione.

Rileggendo in questo nuovo assetto (e alla luce delle varianti) l’insieme della produzione di Del Sarto troviamo confermata l’impressione di un pronunciato montalismo su cui si innestano suggestioni provenienti da voci avvertite come affini (un canone privato che comprende, tra gli altri, Vittorio Sereni, Pier Luigi Bacchini, il compagno di strada Guido Mazzoni). Si tratta di una scrittura ad alta temperatura spirituale centrata su un profondo bisogno di contemplare e interrogare l’esistente, scandagliandolo con allarmata intelligenza. Una poesia dell’appartenenza, segnata da una fedeltà totale ai luoghi che imprigionano tracce più o meno vistose di biografia. I paesaggi familiari sono percepiti, per così dire, contro sole: epifanie di un momento, soggette alla labilità fenomenica della meteorologia e della vita. Queste variazioni infinitesimali avvengono però entro un sistema di coordinate saldo ed essenziale: la marmorea verticalità dell’Alpe e l’orizzontalità smaltata di luce della spiaggia, le sagome dai cromatismi squillanti della vegetazione e la spenta volumetria degli insediamenti umani (tra stanze domestiche incastonate di presenze care e l’intarsio geometrico di quei teatri della solitudine che sono i non-luoghi globalizzati).

Riccardo Donati

 

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