Su “La prigione dolce: viaggio in monastero” di Arkadij Scestlivzev

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La prigione dolce: viaggio in monastero
di Arkadij Scestlivzev


ebook – epub format
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Esce, per i tipi della Samuele Editore, il romanzo in ebook La prigione dolce: viaggio in monastero di Arkadij Scestlivzev. Arkadij, pseudonimo di Sara D’Ippolito, una giovanissima ragazza romana ma residente a Napoli, con viaggi in Russia (tre anni) e importanti esperienze come traduttrice, attrice teatrale, e regista, è un personaggio della Foresta del drammaturgo Ostrovskij, attore comico che viaggia su e giù per la Russia (rigorosamente a piedi) alla continua ricerca di un teatro, con addosso sempre il medesimo costume e il medesimo buonumore in cuore. Ed è forse proprio la ricerca di un teatro, in questo caso tanto universale quanto particolare, che spinge la protagonista italiana (nel romanzo) e un suo collega (Ivan) ad avventurarsi in un monastero ortodosso alla ricerca di un’esperienza nuova, diversa. Di fatto la protagonista accoglie la proposta di permanenza in monastero per tre mesi perchè già tormentata e divisa da sé stessa da domande tra il filosofico e l’esistenzialista. Alle quali lei stessa tenta di rispondere come con lo smettere di fumare, che dura circa tre ore al giorno per poi riprendere le sigarette perdute con 4 fumate di seguito. Dio appare fin dalle primissime pagine quasi un riflesso metafisico di un bisogno tanto impellente quanto impotente, aporetico per così dire. E quindi la scoperta di questo altro Dio, di questa altra religione diviene motivo di incontro non tanto con l’idea (o l’ideale) del Dio, quanto con la propria umanità e con la natura circostante.


Già in premessa Arkadij confessa di aver iniziato a scrivere il romanzo pensando a una cronaca del viaggio, principalmente informativa di una religione ben poco conosciuta in Italia, per poi scivolare in una poetica fantasia che fonde luoghi, tempi, persone. Tutte unite e parificate nel minimo (e massimo) comun denominatore che è la fede. E leggendo La prigione dolce: viaggio in monastero non ci si può esimere dall’apprezzare una sorta di prosa poetica sempre in bilico tra l’estasi e la concretezza. Mai ridondante o pietistica nell’affrontare il confronto con la fede ma anzi lucida e obiettiva nello sguardo sia esteriore che interiore. Perchè il romanzo altro non è che un’esame della scoperta del mondo e dell’uomo all’interno di un luogo di prigionia, il monastero. Nel ribaltamento intimo dei fattori (comunemente si pensa che in un monastero non ci sia vita umana né natura) la protagonista incontra flebili variazioni della natura, tremori d’alberi e prati, che interpreta senza mezzi termini come una grande presenza.


Ed è tale presenza, mai soffocante ma sempre discretamente pronta a farsi sentire, la vera cifra di questo libro. Perchè il Dio ortodosso di Arkadij è un Dio totalmente umano, pur senza rinunciare ai suoi connotati di divinità. È il terzo compagno di viaggio, il monaco invisibile, il vento che fa tremare le foglie. Ed è anche il divertimento del saltare il muro del monastero infrangendo così, in maniera del tutto innocente, le rigide regole del monastero stesso. Ed è il bere insieme a padre Ignatij, la birra che fa scoprire culture impensabili negli uomini del monastero, è il frate morto e la grandissima dignità di chi lo piange. Un monastero che non pretende di assorbire la protagonista, che anzi sente più volte il divertito suggerimento di sposare il suo compagno con il quale crea, all’interno di questo sistema religioso, un rapporto intimo inedito, spirituale e fisico più di quanto avrebbe potuto esserlo fuori da quelle mura di prigionia. I sogni in ultimo chiudono come rivelazioni leggere, dolci, questo romanzo che da una cronaca di viaggio diventa il lirismo di un ascolto. Ascolto di Dio e degli uomini. E di se stessi. Fino alla definizone, quasi ironica, addirittura di uno statuto con delle piccole altezze liriche ed umane: Bisogna perdonare. Almeno provare […] Solo lavorare per tutti è davvero lavorare per sé […] In principio c’è la regola, alla fine c’è l’amore […] Non esistono capi, esistono padri […] Dio è libero, gli uomini meglio di no.


La poesia del romanzo continua tra sogni e viaggi fino alla chiusura della permanenza in monastero dove la consapevolezza di questo umanissimo Dio diventa certezza delle cose vissute: Non lo so… No, aspetta, ora lo dico. Solo due occhi. Si, due occhi come quelli sull’effigie di legno, miti e severi, che temevo, che non potevo guardare che mi sembrava dicessero «No, non va bene, non è questo, non voglio che tu sia così». E faceva male. Ma ora fa molto più male sentire la voce che dice «Io con te voglio parlare, io per te sono venuto, io non cerco un altro volto, ma il tuo». E improvvisamente capisco che Lui non vuole parlare e non ascolta quella che finge di essere un’altra, quella che indossa la maschera di rappresentanza ormai persino di fronte a se stessa, quella che non vuole a tutti i costi cedere e dire non posso. Lui non vuole parlare con quella che fa finta di amare ma con quella che dice «perdona, io amare proprio non so».


E credi ancora che questo sia un sogno?


Alessandro Canzian