Stefano Iori su “Canti di cicale”

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da Versante Ripido di dicembre 2016

Canti di cicale di Silvia Secco, Samuele ed. 2016, recensione di Stefano Iori: la lingua pazza della cicala

 

Dialoga Silvia Secco, nei suoi Canti di cicale (Samuele Editore, 2016). Con poeti morti e poeti viventi. Anche con fantasmi che hanno lasciato segni grigioblu (vedi poesia a pag. 36) su pareti che parrebbero semplicemente irruvidite dal tempo, se non avessero invece assunto il ruolo (pesante e pensante) di “tavola dei ricordi”. E prima di sedersi a tale desco non bisogna lavarsi le mani, ma sporcarle invece, con la polvere che ammanta quei muri: il residuale pulviscolo di chi siamo e di chi è stato. E se sporcare è una parola che evoca sensazioni sgradevoli ai più, diciamo, alludendo a Dante e parodiandolo, che nella polvere del tempo bisogna ficcar lo viso a fondo.
Si leverà così la cipria degli anni dalla superficie delle cose, quella venuta a contatto con il passato di altre vite? O questa, sfarfallando nell’aria, si trasferirà ai nostri polmoni e da questi alle nostre cellule?
Soffio e il suo opposto. Espirare e respirare. Fino a portare dentro il proprio sé, con costante (in)consapevolezza, un rarefatto mondo di segreti. Dentro. Dove sovrasta il buio (vedi poesia a pag. 38).

E dopo?

Vangami nella polvere, incalzami nel fango, io ti darò buon vino. Così recita un vecchio proverbio. Il buon vino, va da sé, è il nettare succoso che ci viene dalle poesie di Silvia Secco.

Stefano Iori

 
 

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