Flaminia Cruciani, PIANO DI EVACUAZIONE, Samuele Editore 2017
Per comprendere il peso e la forma dei versi dei poeti, bisognerebbe scagliarli come proiettili contro una parete dura e vedere che cosa succede.
Alcuni lascerebbero dure tracce prima di disgregarsi, altri si annienterebbero completamente. Altri ancora si frangerebbero a pezzi e sarebbe necessario andare a cercarne le macerie in giro. Il lettore avrebbe così la possibilità, piuttosto che di pesarli con gli strumenti tradizionali della retorica e delle leggi metriche – verso libero o verso tradizionale non importa – di conoscerne la sostanza, la consistenza, l’intenzione. Ci sono opere che neanche vorrebbero essere sottoposte a questa violenza, lasciate in pace, piuttosto, a marcire della loro stessa deperibilità.
Per mettere in atto questo lancio snaturato, occorre una pronuncia a voce alta, il risuonare della parola in una camera spoglia e buia.
I versi di Flaminia Cruciani sembrano Atena tutta bardata per la pugna, col suo lucente elmo da guerriera. Cozzerebbero contro questa ipotetica parete, si spezzerebbero nella resistenza, si sparpaglierebbero in giro come un corpo dopo un incidente; eppure, malgrado il dolore e lo spavento, ancora vivi, palpitanti, come le code mozzate delle lucertole. Palpitanti di una domanda che è perfino inutile nominare; e cioè la Domanda sul Tutto e sul Niente che siamo. Che è poi una richiesta di senso lanciata a folle velocità contro la faccia di un dio demiurgo, con le armi della filosofia, delle epistemologie; persino evocando formule scientifiche, ipotesi, quantificazioni fisiche inerenti il peso della materia.
Sebastiano Aglieco
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