da Perigeion
Ignoro del tutto la biografia di Elisa Longo e probabilmente è meglio così: questo mi permette di attraversare la sua raccolta più recente, Ribilanciare per sottrazione (Samuele Editore), con un animo del tutto distaccato dalla conoscenza dell’autrice e quindi di viverne quello che significa per me, che forse è il modo più giusto di porsi nei confronti della poesia. Dico allora che Ribilanciare per sottrazione mi sembra un viaggio nei rapporti umani che parte da una crisi per diventare spaesamento e infine un tentativo di ricostruzione. Questa impressione viene in qualche modo rafforzata dalla struttura tripartita della raccolta: la prima sezione, Sbottonarmi parola per parola, annovera liriche in l’io narrante appare perdente – intendo perdente nei rapporti umani, appunto – e subisce una forma di sudditanza psicologica.
Mi smontavi come i Lego
per rimontarmi secondo la tua legge.
O anche:
mi sento impotente mentre innalzi la mia croce
e hai lo sguardo di chi stacca la coda a una lucertola.
C’è una violenza latente che serpeggia fra le parole, non fisica ma verbale, di sguardi, di pressioni; forse si tratta di una sofferenza che non ha un colpevole vero e proprio, perché “non c’è certezza del carnefice / né della vittima”.
La seconda sezione, Intrappolata a spicchi, sostituisce alla claustrofobia della prima uno smarrimento esistenziale da cui si fatica a vedere una via di uscita. C’è bisogno di tempo, sembra suggerire Elisa Longo, affinché tutto possa sedimentare: non è ancora il momento di una nuova consapevolezza.
Francesco Tomada
Continua su Perigeion