Bookcity
15 NOVEMBRE – 23.45
MUSEO DELLA SCIENZA E DELLA TECNICA, MILANO
Tiziana Cera Rosco e Andrea Serrapiglio
PRIMO SANGUE
Patientia è una performance di intercessione, di preghiera. Si svolge nei boschi ad una lentezza esasperata che la rende quasi teatrale e l’invocazione è muta. Il tempo della sua durata e il luogo sono importantissimi e trasformano la figura man mano che entra nella preghiera, figura che parte neutra e attraverso il contatto con il luogo si evolve nell’immagine totemica di una richiesta che proviene da un bisogno.Il tema è quello dell’artista inteso come soglia ( intercedere vuol dire appunto farsi intermediario), come figura percettiva, soglia d’amore mai magica, forse tragica come tutto ciò che ha a che fare col destino, aperto e in ascolto totale e come ogni figura aperta al luogo e al tempo che la attraversa, il contatto con il fondo di qualcosa di remoto deforma la figura.
Le immagini, che viste in fotografia paiono mostruose, sono invece attraversate da una dolcezza esasperante durante l’atto, e la rinuncia ad un’estetica di bellezza, a favore anche del mutismo e dell’ accecamento, fanno del sacrificio all’interno dell’ordine delle forme un dono all’interno dell’ordine dello spirito, perché sempre si è preghiera, in congiunzione in un rapporto col vivente che concresce con lo spirito vitale.Gli spettatori non interagiscono e possono vedere, tranne in rare occasioni, la performance solo da grandi lontananze e con binocoli.
È strettamente legata alla natura selvatica dei luoghi e delle esperienze suscitate dal luoghi ed è stata performata in riserve naturali e boschi, sempre in assolo da Tiziana Cera Rosco, con le sue immense gonne lunghe.
Insieme a Tiziana Cera Rosco c’è infatti Andrea Serrapiglio, arista multimediale. Si presenta non nell’esposizione alla luce naturale ma quasi al buio dove, invece del silenzio del colloquio con la natura, il suono originario e acustico del violoncello incontra i movimenti muti del corpo che intercede per l’altro in una forma di danza immobile, in una richiesta di esposizione e di protezione che rimanda verso l’alto.
In questo caso il luogo e lo spazio coincidono non con un ambiente naturale in cui si sospettano le tracce dell’Essere, ma con l’altro, con il luogo che è l’altra persona, con la certezza e l’imprendibilità che l’altra persona è per la nostra comprensione, con il paesaggio complesso che l’altro porta in sé, col suo carico umano di cose non salvate e di purezze.
È un contrappunto musicale corporale, in cui il maschile e il femminile sono in un dialogo che si riferiscono l’un l’altro sperando di accedersi, di capirsi in qualcosa che li superi, e sono trasformati entrambi.
Si chiama Primo Sangue, come il momento in cui i corpi femminili diventano generativi, perché ogni ricerca di varco, ogni tentativo di apertura porta in sé il candore del rischio profondo di comprendersi, di un taglio di cui bisogna leggere le linee. E senza il quale saremmo persone incomunicabili, senza varchi, senza danza, senza preghiera.
Saremmo solo dei gesticolanti.