PREMIO CARDUCCI IN CARNIA NE IL COMUNE RUSTICO – Risultati Sezione In Carnia

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PREMIO CARDUCCI IN CARNIA
NE IL COMUNE RUSTICO

 

GIURIA SEZIONE IN CARNIA:

Guido Della Schiava
Enzo Santese

 

Risultati della Sezione In Carnia

 
 

PRIMO PREMIO

Il posto di Livia

di Maria Cecchinato

 
 
Contro il muro di pietra, sorridente,
i capelli bianchi spettinati al vento,
china tra salvia e lupini sfiorava boccioli,
mai sazia di primavera,
o raccoglieva fagioli in mezzo all’orto.

Appoggiata al bancone restava trepidante
in attesa di qualcuno a cui donare
un’ora della sera del suo giorno,
granelli di saggezza e odor di rosmarino
che l’età addolciva di conforto.

Aroma di caffè nell’oro del mattino
mentre il sole già si avviava
al Pic di Mesdì. Cielo terso e pace.
Riposava così la stanchezza degli anni
e respirando silenzio e aria pulita
sentiva alleviarsi ansie e affanni
e gli inevitabili dolori della vita.
Si appisolava beata al fuoco del camino
se sapeva di avere i suoi nipoti intorno.

Quando arrivò la grande ombra,
colse la Livia tra le rose del giardino
e lei si addormentò in faccia ai monti
sul cuscino vellutato del suo prato,
persa tra ciò che aveva accarezzato.
E le portò il vento il profumo del bosco
sapendo quanto aveva lei voluto,
per l’ultimo respiro, proprio quel posto.

 

Il prelievo memoriale corre su una frequenza sentimentale capace di animare gli elementi della natura (salvia, lupini, rosmarino, monti, prato, vento e sole) e farli convergere verso la protagonista (Livia) che, all’arrivo della morte, si addormenta tra le “rose del giardino” respirando l’ultimo alito di vento della sua terra. La poesia, libera dal rischio della retorica, si sviluppa con un ritmo che fa svaporare il tono elegiaco in un tenue ricordo, delineato con contorni nitidi ed efficace semplicità espressiva.

 
 

SECONDO PREMIO

Cjargnel tu pari

di Luigi Gonano

 
 
Cjargnel tu pari

Tantes, masse peraules
a son za stades fates rodolâ
come taes ju par un mortôr
a sbarniciâ, rompi a fâ saltâ
pa l’arie e pas maseries
ce ch’a reste di te
picjât da pruf dai voi.

Poucjes tun dropaves tu pari,
la to bocje a erin i braz
e la to lenghe las mans.
“Dami ca! Fai ben!
Bisugne tegnî da cont la roube.”
A erin cjacares di un om di une volte
e jo no capivi ce savôr ch’a an i claps
la tjere e l’arie dopo strac,
no capivi il to scugnî fâ par fuarce e a ducj i costs,
no capivi il to scugnî dreçiâ
i clauts vecjos par no doprâ chei gnûfs,
il to scugnî, ogni dì, preâ chel rosari tramandât,
il to scugnî tirâ fûr par ducj
un tai, ogni volte ch’a entravin,
no capivi il to scugnî jessi fuart
e dûr e bon davant da vite, simpri!

Grazie a Diu tu pari
tu mi âs simpri insegnât
a dî blanc o neri a cui ch’al meréte
e grazie cuant ch’al covente,
cussì cumò no ai nue di ce roseami
nome tantes roubes incjimò
di lâ indavant a fâ.

 
 
Padre carnico

Tante, troppe parole
sono già state fatte rotolare
come tronchi in una risina
a sparigliare, rompere e far saltare
in aria e sui muretti
ciò che resta di te
appeso addosso agli occhi.

Poche ne usavi tu padre,
la tua bocca erano le braccia
e la tua lingua le mani.
“Dai qua! Fai bene!
Bisogna aver cura delle cose.”
Erano discorsi di un uomo di una volta
e io non capivo che sapore hanno i sassi
la terra e l’aria quando si è stanchi,
non capivo il tuo dover fare per forza e a tutti i costi,
non capivo il tuo dover raddrizzare
i chiodi vecchi per non usare quelli nuovi,
il tuo dover, ogni giorno, pregare quel rosario tramandato,
il tuo dover offrire a tutti
un bicchiere di vino, ogni volta che entravano,
non capivo il tuo dover essere forte
e duro e buono di fronte alla vita, sempre!

Grazie a Dio tu padre
mi hai sempre insegnato
a bire bianco o nero a chi se lo merita
e grazie quando serve,
così adesso non ho niente per cui tormentarmi
solo tante cose ancora
da continuare a fare.

 

Il ricordo del padre ritrae una fisionomia tipica del carattere carnico, di cui i versi fanno emergere due elementi essenziali: una sobrietà di costumi lontana dai pericoli dello spreco, l’attitudine a dire poche parole per esprimere convinzioni e verità personali. In un’alternanza di brevi periodi sintetici e indugi vicini alla prosa, le tre strofe illuminano i contorni di una figura d’uomo che appare “forte / e duro e buono di fronte alla vita”. La variante carnica della lingua friulana dà alla composizione un tocco ulteriore di autenticità del sentire e il calore di un’adesione piena al valore degli insegnamenti paterni.

 
 

TERZO PREMIO

Cjargna

di Fernando Gerometta

 
 
Cjargna

Nuviça sarena dal tormênt, sui gravârs
il štraulìn dal vêl, tai rius

cença lagrimas

cjar e siç, cûr, ven su e conta las zornadas
soteradas, ducj i geis fraidîts
las šchenas rebaltadas

simpri prinsint il non di Diu
su la lenga marsa a fâ di cuintripeis

Sants, il santùt di brišcula, un clap špiçat
pecjât, pinitinça chel subìt devant
tal freit il flât russìt in ta bunora
tornât a tirâ dentri par rišpièt al cîl
e a fadìa

furçons, regolts come c’a fossin Oštia
doi fasùi, maglâts un tic
cùfui, gjavâts dal rîs
par un rosari sempiterno e Gloria
il clip dal ûf ta man, dolçura, coma incjimò ta cova

cuatri olmas di šcarpét ta neif, po dôs, il colp dal cloštri
tredisesim bot di miegegnot, saluštri di anzoi, i šcûrs dabàs
a gnot prometùt il neri dai vôi, il flât liseir, cinisa
lisera e sot, borešt minût di lignas, vivas
ros fuart
sul ros lisêr da musa

 
 
Carnia

Sposa serena del tormento, sui ghiaioni
lo strascico del velo, nei rivi

senza lacrime

carne e agra, cuore, vieni su e conta le giornate
sotterrate, tutte le gerle marcite
le schiene rovesciate

sempre presente il nome di Dio
sulla lingua riarsa a fare da contrappeso

Santi, il santino di briscola, un sasso aguzzo
peccato, penitenza quello subito davanti
nel freddo l’alito viola di mattina
reinspirato per rispetto al cielo
e alla fatica

briciole, raccolte come fossero Ostia
due fagioli, macchiati appena
bozzoli, tolti dal riso
per un eterno rosario e Gloria
il tiepido dell’uovo nella mano, dolcezza, come ancora nella cova

quattro orme di scarpette nella neve, poi due, il colpo del catenaccio
tredicesimo rintocco della mezzanotte, lucore d’angeli, gli scuri dabbasso
alla notte promesso il nero degli occhi, l’alito leggero, cenere
leggera e sotto, il burare minuto di perle, vive
rosso forte
sul rosso leggero del volto

 

Il testo affida alla lingua friulana il compito di entrare nella carne viva del tema, umanizzando la terra d’origine della quale con efficaci rilievi metaforici allude a credenze e abitudini. I versi si strutturano in modo che il ritmo si inarca in un crescendo dove i riflessi del mito e gli effetti della realtà si combinano in un climax ascendente. Nei molteplici elementi citati la poesia consente di leggere un reticolo di connessioni tra la gran parte del mondo fisico carnico e i minimi accenni al metafisico.

 
 
 

Commenti della Giuria ai finalisti
della sezione In Carnia

 

Stali di Roncjai / Stavolo di Roncjai

di Aldo Rossi

La poesia, in friulano, assegna a un manufatto – lo Stavolo di Roncjai – il valore affettivo raggiunto nei tempi lunghi della sua esistenza; così i riflessi del passato e le evidenze del presente sono impegnate in un dialogo con la speranza che si fa realtà: “ritorna a vivere / di nuovo ancora”. I versi, nella loro brevità, riescono a inquadrare con chiarezza il rapporto stretto fra la situazione rappresentata e lo stato d’animo dell’autore.

 

Camoscio soldato

di Mario Cedolin

Il testo si struttura in versi che accolgono rime e assonanze in un ritmo vicino al tono epico della marcia; questa, pur con qualche sbavatura nell’equilibrio compositivo, focalizza un sentimento capace di ravvivarsi nel ricordo di un parente (prozio) “ caduto in battaglia sul Pal Piccolo nel 1915”. In un periodo di rievocazioni del centenario della prima guerra mondiale, a volte un po’ inopportune, questa ha il pregio di essere autentica, attraversata com’è dalla vibrazione dell’affetto per quel “camoscio soldato”.

 

La rustica virtù

di Marco Buiese

La suggestione carducciana genera una riflessione personale tra la rustica virtù, così come la concepì il poeta toscano, e quella presunta di oggi, che si evince dalla volontà di rimanere nella loro terra di persone dedite all’”essere” e al “fare”. Il testo (distinto in quattro strofe) appare una sorta di dialogo interiore con l’alternanza di un interrogativo in una strofa e di un’affermazione di senso in un’altra.

 

Cjasa sierada / Casa abbandonata

di Dani Pagnucco

Nei luoghi che hanno inciso sul suo vissuto, l’autore vede aleggiare lo spirito materno che per decenni ha curato la casa. La constatazione di uno stato d’abbandono fa emergere dalla memoria l’immagine della madre scomparsa che, come in un sogno, viene evocata con forza visionaria. I versi si susseguono con una certa armonia dinamica tra momenti di contratta brevità e dilatata tensione descrittiva

 

Buon giorno Carnia

di Daniela Sandri

I dettagli di un paesaggio idillico rivelano la temperatura di un attaccamento alla propria terra, che è iniziato con l’insegnamento “degli avi” ad amare i tempi e i luoghi natii. La composizione è un inno alla Carnia, definita “stella / sotto il tetto del cielo”. Le quattro strofe illuminano una realtà fisica che viene trasfigurata in presenza pulsante di montagne svettanti e musiche di ruscelli correnti.

 

Un sbuf di vint / Un soffio di vento

di Eddo Della Pietra

La composizione contiene un pensiero che si muove tra realtà e metafora, tra percezione del mondo fisico e senso del mistero in un territorio metafisico. L’anafora (“un soffio di vento” a ogni inizio di strofa) dà alla poesia una cadenza ritmica che percorre idealmente tutto il segmento esistenziale del protagonista, dall’infanzia alla vecchiaia ed oltre.