PREMIO CARDUCCI IN CARNIA NE IL COMUNE RUSTICO – Risultati Sezione Generale

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PREMIO CARDUCCI IN CARNIA
NE IL COMUNE RUSTICO

 

GIURIA SEZIONE GENERALE:

Alessandro Canzian
Jacopo Ninni
Sandro Pecchiari
Antonella Sbuelz
Andrea Sirotti

 

Risultati della Sezione Generale

 
 

PRIMO PREMIO

Meriterebbe di più la Marcella

di Ivan Fedeli

 
 
Meriterebbe di più la Marcella
di una radio accesa e del pranzo pronto
in attesa dei figli, le camicie
a zonzo nella stanza bella. Forse
un marito dalla giacca stirata,
quel profumo di dopobarba tutto
di mattina, quando va di corsa il tempo
e non si arriva mai. Eppure sorride
alle bollette e all’ascensore lento
di un quinto piano troppo alto per lei.
Si fa il trucco allora insistendo un po’
sulle labbra perchè non si sa mai
si dice sulle scale mentre chiude
a chiave e pensa alle cose da giovani,
poi arrossisce perchè non si può più.
Così scende immaginando i rumori
oltre le porte, le parole dette
di fretta all’uscita, quasi la vita
si arrendesse dopo un buongiorno. Credono
sorrida ancora a uno sguardo furtivo
se scivola sulla schiena e le rende
giustizia. Piace saperla in quell’attimo
che riscatta il mondo, finchè s’allontana
dopo il cancello zoppo, il suo cigolare
sempre in attesa di una mano buona.
 

In linea con tanta parte di poesia contemporanea, o almeno di quella poesia che si è imposta nel panorama nazionale di questi ultimi anni, il testo Meriterebbe di più la Marcella è emerso con nitore e preziosità dalle scelte della Giuria per il linguaggio piano eppure a effetto, pulito e chiaro, preciso ed essenziale nella descrizione di un quadretto umano pur senza sconvolgimenti o squilibri. Il soggetto, Marcella, dice la capacità dell’autore di penetrare la quotidianità e di raccontarla senza sbalzi, anzi carpendone dalle inevitabili pieghe, dai soliloqui, dagli arrossamenti e dai cigolii un qualcosa di più alto che l’autore, in questo riconoscibilmente poeta, chiama vita. Piace saperla in quell’attimo / che riscatta il mondo recita uno dei versi, che non ignorano la forza evocativa delle figure retoriche, nello specifico l’allitterazione. Una ripetizione cioè di suoni che da Meriterebbe di più la Marcella conduce a così scende immaginando i rumori per concludere in un verso più che mai aperto ad abbracciare non solamente il suo soggetto, il cancello zoppo, ma Marcella stessa e la sua umanità, la sua età, la sua vita: sempre in attesa di una mano buona.

 
 

SECONDO PREMIO

Nnunnata

di Rino Cavasino

 
 
Nnunnata

‘Unn avi, comu l’acqua, a lingua
ossa, ma l’ossa ciacca
e cui cci l’avi passa
u mari, stu sururi
dâ terra assuppa, agghiutti
sta sputazzata, iò
mi capuzzài di nicu, ma
‘unn u passài. Cchiù cosi
vitti ddassutta spirtu
chi supra corpu, morsi
campài cchiossài natannu
senz’ossa ne lingua ddagghiusu,
cuvannu l’ova chini
di l’occhi, nta ll’acqua di l’occhi
nnunnata, mai nasciuti,
anniati nta ll’ova puddicini,
nta ll’occhi lustri vavareddi,
ntâ salamureci dû mari.
 
 
Latterini
dal siciliano di Trapani

Non ha, come l’acqua, la lingua
ossa, ma le ossa spacca
e chi ce l’ha passa
il mare, questo sudore
della terra asciuga, inghiotte
questo sputacchio, io
mi tuffai da piccolo, ma
non lo passai. Più cose
ho visto spirito là sotto
che sopra corpo, sono morto
sono campato di più nuotando
senz’ossa né lingua laggiù,
covando le uova piene
degli occhi, nell’acqua degli occhi
latterini, mai nati,
annegati nelle uova pulcini,
negli occhi lucide pupille,
nella salamoia del mare.

 

Salamureci: zuppa fredda d’acqua sale olio aglio pomodoro basilico e pane raffermo, imparentata col salmorejo ed il gazpacho andalusi.

 

La consistente presenza di testi dialettali nel Premio è stata per la Giuria motivo di conferma di una direzione fertile e significativa che la poesia italiana sta percorrendo. Un nobilitare cioè le peculiarità linguistiche delle parlate minoritarie assumendo nel dialetto forme e modi della poesia in lingua, riscrivendo canoni e ritracciando percorsi. Nnunnata, in questo testo scritto nel siciliano di Trapani, è capace di una musicalità sincopata con l’uso frequentissimo dell’assonanza inevitabilmente facilitata dal dialetto stesso, che in questo si presenta come lingua privilegiata. La Giuria è stata particolarmente colpita dalla capacità dell’autore, al di là della maestria formale, di creare un climax crescente di significato e immagini che da un tono dialogico sa tendere ad accostamenti arditi e densi di significato che non scadono mai nel peregrino. Ne è di chiara e bella evidenza l’ultimo verso, nella salamoia del mare, che attinge a un termine (salamureci, tradotto con salamoia) che fa riferimento a una zuppa fredda. Una rara capacità di creare relazioni e sguardi inusuali, in una lingua sensuale e ancestrale, dalle grandissime potenzialità espressive.

 
 

TERZO PREMIO

Detto memorabile

di Alberto Trentin

 
 
Detto memorabile

Tu mi accusi di esornare
il tempo. Di fare scontamento
dei miei anni sui tuoi denti
bianchi, ritta madreperla
che puntella l’anima che parla.
Di tanti anni in pasto
ai complici ora alle voci allora
dei nostri cari antenati
riduco tutto
a esedra di memorie
che paiono vacillare imbrunite
oppure stare, e stare
senza stupore alcuno

Di noi soltanto accomunati
dal pasto presto della paura.

 

Una poesia preziosa nel suo utilizzo del linguaggio, a tratti ardita, pur nel rischio, evitato, di un inceppamento del linguaggio stesso in un eccessivo formalismo. Ma è l’autore in prima persona a dichiarare il terreno impervio che ha scelto di percorrere: tu mi accusi di esornare / il tempo. Un utilizzo consapevole che diviene esedra di memorie e dove la ripetizione forte di oppure stare, stare sa comunicare il fulcro fondante del testo che si scopre essere senza stupore alcuno. Ed è la mancanza di stupore, il senso di accettazione, che convince la Giuria nel suo non essere una privata inflessione dell’autore ma un di noi soltanto accomunati. Uno scorcio poetico esornato, esso stesso, in linea col pasto presto della paura che è implicito giudizio dell’autore sulla vita stessa.

 
 
 

Commenti della Giuria ai finalisti
della sezione generale

 

Ascensore

di Ivan Fedeli

Un testo ricco di aspetti molto pregevoli sopratutto nel suo divenire racconto di un uomo e racconto di un’idea, che è sintesi di una vita.

 

Conchiglia di Finisterre

di Davide Castiglione

Una poesia che dal rapporto tra la ripetizione del passo di una camminata e una conchiglia sa con un certo pregio svelare ed esplorare la tematica altra del domandare umano.

 

Divagando organigramma

di Luigina Lorenzini

Bel testo erotico che fa dell’essenzialità maliziosa il suo punto di forza. E l’inaspettata conclusione, che dice, molto più delle parole, l’erotismo del testo stesso.

 

Donne ch’avete intelletto d’amore

di Annalisa De Gregorio

Colta descrizione di un quadro quotidiano in una forma misurata e capace. Che non manca di stupire nella chiusa falsamente piana, in realtà intensa.

 

È finito il tempo di dedicarsi a questioni condominiali

di Paolo Agrati

Partendo dallo spunto delle questioni condominiali, l’autore costruisce nel testo relazioni e accostamenti inusuali fino a una sentenza finale forte, intensa.

 

Guarda in alto Mario sperando un po’

di Ivan Fedeli

Lo sguardo del personaggio di questa poesia/racconto sa scorrere evolvendo nei versi, tra desideri e sguardi, ritorni e racconti. Per uscire dal personaggio stesso nella visione di una città che prescinde dal personaggio.

 

Il cardellino

di Tiziana Monari

Una cartolina leggera e delicata di un personaggio femminile e del mondo oltre la sua finestra. Per dire con intensa efficacia poetica i sogni della protagonista davanti a una luce lontana.

 

Il nostro merito

di Benedetto Marano

Una poesia grave e greve tra divario e declino in pieno accordo con la dolorosa indignazione dell’autore, che non manca però del merito di continuare a credere a una giusta ragione.

 

Il sentiero continua, scende e sale

di Mauro Caselli

Versi che parlano dell’autore in una prospettiva autocritica, con la capacità di rendere poetico un senso di colpa, così facendo rivestendolo comunque di un significato.

 

Il vero nome

di Emidio Montini

Un riferimento quasi archetipico alla potenzialità del nome e del nominare che sta alla base di tanta mitologia religiosa e magica. Un nome capace di contenere sentimenti umani detti attraverso il nome delle cose.

 

L’artista

di Elena Zuccaccia

Testo intenso nella descrizione di una relazione. Quasi un’analisi logica dell’affetto che si apre a un partecipato banco della carne, dove in esposizione è il cuore.

 

Le mie città

di Benito Galilea

L’occasione di parlare di due città appartenute all’autore si fa modulo privilegiato di un atto dell’andarsene che, dal suo puro concetto geografico, si apre all’esistenziale.

 

Le mie tre cose

di Alessandro Silva

Una fotografia concreta e oggettiva di un momento e di un luogo vissuti, che si chiude, con certo pregio e sorpresa, in un’invocazione pacata, di sfiorata tenerezza.

 

Locus cessat

di Roberto Borghetti

Lo sgomento di scoprirsi in un luogo e nella relazione con questo luogo. Sgomento, redenzione e illuminazione in un appuntamento con l’ombra che è scoperta poetica della vita.

 

Mbenzire/Col pensiero

di Sergio Pasquandrea

Nel dialetto di San Severo di Foggia la descrizione di una scoperta che nell’evolversi del testo sa maturare da vuoto a dolcezza. Con grande efficacia.

 

Minuto diciotto

di Paolo Polvani Napoleone

Un’interessante scalata in una sinfonia mahleriana che ne comunica l’estasi e la sensazione. Fondamentalmente un dialogo musicale in poesia.

 

Mi tengo stretti i tuoi occhi

di Monica Guerra

Un testo carnale e sensuale nella forma più che nel messaggio diretto delle parole. Una pregevole capacità di far sentire un abbraccio e una mancanza.

 

Nell’altro di noi

di Benito Galilea

Un quadro sobrio eppure intenso e toccante, mai eccessivamente doloroso, essenzialmente vero nella descrizione filiale dell’Alzheimer. Con accenni religiosi, egualmente pudici.

 

Poi tutto sfuma lieve nella brezza

di Antonio Cosimo De Biasio

Un riuscito sonetto che attinge alla metrica classica calandola con successo in un tono contemporaneo che, soprattutto nell’ultimo verso, lascia colpiti.

 

Ramo

di Carla de Falco

Il ramo diviene, nello svolgersi della lirica, occasione privilegiata per osservare e porsi domande sull’uomo, sui suoi confini. Per prendere posizione di fronte alle cose.

 

Sarà forse quel tempo

di Stefano Peressini

Un’ardita quanto riuscita riflessione sul tempo, la sua avventura, il suo volo e il suo varco. Un tempo composto di cose che succedono e che succederanno.

 

Senza disfare

di Silvia Secco

Un’icona d’amore leggera e conscia della realtà della solitudine della vita. E della capacità del sentimento d’annullarla nell’invocazione, privata, del nome intimo dell’altro.

 

Senza titolo 2

di Antonio Nesci

Un’analisi introspettiva che dalla riflessione personale racconta un momento privato e fantasioso, non per questo meno reale o accaduto.

 

Tra radici e foglie

di Angela Greco

In un vorticare d’immagini mai scontate la descrizione di uno stato che come un ultimo scoppio di fuochi d’artificio sa chiudersi ad effetto, convincendo, meravigliando.

 

Trolley

di Giovanna Nieddu

Un viaggio reale che attraverso lo sguardo poetico amplia le sue sfumature di significato coinvolgendo magistralmente le emozioni più intime dei protagonisti.

 

Vatri nun lu sapiti / Voi non lo sapete

di Saro Marretta

Nel dialetto di Ribera, parlata agrigentina, l’autore crea un interessante quadro sfioratamente onirico nella ricchezza delle sue immagini che non mancano di tornare alla realtà di un treno che arriva.

 

Verrà buio alle quattro e mezza

di Giuliano Gemo

L’occasione di un implicito orario incombente, quasi una scadenza delle cose, diventa motivo per dialogare di un noi intimo e coinvolto, dolcemente sotteso.