Non ti scrivo da solo – Gruppo Majakovskij

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Non ti scrivo da solo
Gruppo Majakovskij

Samuele Editore 2017, collana Scilla
prefazione di Pierluigi Di Piazza
postfazione di Marco Marangoni

pag. 72
Isbn. 978-88-96526-98-9

12 €

 
 

Dalla prefazione:

 

Noi esseri umani, donne e uomini, siamo formati da diverse dimensioni; siamo cuore, sentimento, emozioni e ragione, pensiero, cultura; siamo corporeità ed insieme profondità dell’essere, dell’anima; siamo silenzio e parola e linguaggio del corpo; siamo impegno, lavoro, riposo; e nello stesso tempo contemplazione; siamo coinvolti nell’economia, nella politica, nella tecnologia; sentiamo l’esigenza di un’etica che orienti, verifichi e sostenga le nostre scelte.
Ci esprimiamo nella creatività, nelle diverse forme dell’arte, nella poesia.
La poesia rivela vissuti, vibrazioni, dimensioni dell’animo in rapporto con se stessi, con gli altri, con le diverse presenze ed espressioni della vita; non è definibile, nel senso di racchiudibile in uno schema; si può intendere come frammento che raccoglie e comunica dimensioni concrete e insieme misteriose, intuendo il mistero come dimensione che ci avvolge e di cui possiamo solo indicare qualche sensazione.
Ho riflettuto sulle poesie degli amici del gruppo Majakovskij raccolte in questo libro.
Ho percepito soprattutto la ricerca del senso profondo del nostro vivere, l’interrogativo sulla presenza o assenza di Dio; di una spiritualità che non diventi uno spiritualismo separato dalla storia ma invece che attraversa, anima le persone e tutta la realtà, anche la materia.
La questione di Dio è sempre aperta, soprattutto di quale Dio si parla, dato che, come la storia ci insegna, spesso è stato e continua ad essere strumentalizzato per legittimare potere, illegalità, corruzione, povertà, violenza, guerra, razzismo, dominio e usurpazione dell’ambiente.
Dio pure intuito, creduto, pregato è sempre “nascosto”, sempre da cercare e mai può essere identificato con i concetti che noi ci facciamo di lui; né come garante delle istituzioni religiose.

Pierluigi di Piazza

 
 

Dalla postfazione:

 

Giustamente Di Piazza, con stile incisivo e antiretorico, va subito al punto della questione che muove la nuova opera del gruppo Majakovskij. Di spiritualità si tratta certo, ma non di spiritualismo. Di trascendenti sensi, ma non astrattamente intesi rispetto al piano concreto della storia. Con “fede creativa” la poesia qui si fa preghiera, se con questa parola si intende un’interrogazione non meramente filosofica, ma che si ripercuote, appena prodotta, sulla carne di chi la esprime. Qui si individua un nodo classico tra poesia e religione, in tempi antichi e arcaici unite da un raccogliersi dell’uomo verso l’origine (“Scrivere è avere la passione dell’origine”, E. Jabès). Ma poiché la parola poetica è creativa, molto più che comunicativa, ecco che la religione, in particolare ebraico-cristiana, naturaliter si coniuga con essa: attraverso il medium della dimensione ontologica del linguaggio: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”. Per questo forse, o anche per questo, Di Piazza dice, per venire al dunque di queste poesie “spirituali”, che noi uomini, coinvolti “nell’economia, nella politica, nella tecnologia”, ci “esprimiamo nella creatività”. Ossia ci esprimiamo mediante un atto non già prefigurato, necessitato; ma libero, inventivo, personale, come lo sono l’arte, la poesia, la fede “creativa”. Ecco allora affacciarsi il rapporto tra linguaggio della creazione e la creazione poetica del linguaggio, quasi si potesse individuare in essi un dato di profonda analogia. è così che si può parlare, e cito ancora Di Piazza, di una “sacralità non separata, segregazione dell’umano” e di “segni dell’infinito”: “gli esseri viventi che ci parlano come ad esempio un ciliegio fiorito o come la pioggia e i lampi del temporale e soprattutto sempre, in continuità, i volti dell’altro”. Detto ciò, il rapporto con Dio non può che rimanere problematico, per diverse ragioni; sia per le domande provocate dalla presenza del male “senza perché”, o dall’inferno di Auschwitz, sia per la natura misteriosa del rapporto uomo-Dio: rapporto con la presenza di un Dio, massimamente intimo all’uomo (“interior intimo meo”, dice Agostino) e insieme “totalmente Altro”. Meglio dunque, in questi “luoghi non giurisdizionali” (Caproni), affidarsi umilmente ai passi dell’esperienza, dell’etica, più che a una dottrina. “è fondamentale –scrive Di Piazza– aprire gli occhi per guardare in profondità; coltivare pensieri alti e lucenti; nutrire il coraggio di resistere”. è un invito all’attenzione, alla responsabilità, a sorvegliare i limiti di guardia del rispetto, secondo giustizia e reciprocità. Un invito che sembra raccolto con talento espressivo proprio dal gruppo Majakovskij.

Marco Marangoni

 
 
 
 
Pinseir di not
 
Ta la not, platada ogni stela,
la luna distacada e butada
ta ‘na stropa di nulis vecis,
‘na puarta a sbat intal sièl:
nustri pari ch’a nol sa
il tribulà dai fìis,
il lambicàssi dal sarvièl.
 
Giacomo Vit
 
 

Pensiero notturno
Nella notte, nascosta ogni stella, / la luna staccata e gettata / in una siepe di nuvole vecchie, / una porta sbatte in cielo: / nostro padre che ignora / il tormentarsi dei figli, / l’arrovellarsi della mente.

 
 
 
 
Riunion fiosofica
 
L’Ombra a se domanda se el Lustro
el puol iessi
el Sas el spiega che basta credi.
El Pes el rit a l’idea de un’Aga
e el dura che in tuti i so mars
no là mai vioduda.
El Vint el sugeris de no credi
a chel che no se viot.
El Siensio el tas parchè el sa.
 
Daniela Turchetto
 
 

Simposio
L’Ombra si chiede se la Luce / può esistere / il Sasso spiega che basta credere. / Il Pesce ride all’idea di un’Acqua / e giura che in tutti i suoi mari / non l’ha mai vista. / Il Vento suggerisce di non credere / a quello che non si vede. / Il Silenzio tace perché sa.

 
 
 
 
Omis sot la ploia
 
Ta la me vita
indài iodús doi tre:
omis ch’a ciaminin
tal sílgiu da la strada
a ciàf nut sot la plòia
‘legris
coma se atòr no fos nùia.
Mas
o ànzui
ch’a fan cuatri pas?
 
Silvio Ornella
 
 

Uomini sotto la pioggia
Nella mia vita / ne ho incontrati due o tre: / uomini che camminano / sul ciglio della strada / a capo nudo sotto la pioggia / allegri / come se attorno non ci fosse nulla. / Pazzi / o angeli / che fanno quattro passi?

 
 
 
 
Coma se la ploia a ves di distudasi in-tai fossài
di nun. E li’ stelis in font al troi dal temporal
a podessin slusignâ di bessolis. Coma se il vint
impiàt ta li’ covis dal salmastri al molèsi li’ brenis
par scjavassani i orts e li’ vertebris. Invesi encia lui
obleàt da ‘na ciavèssa, inscuelàt da un ordin sec.
Enciamò prin che la luna a ciapèdi di nouf la peraula
parsora il scagnèl pì alt dal sièl.
Dilu a me il segret, dilu sol che a me.
Cussì li’ pontis dai albars adès a tasin.
Doma la suvìta pì in nà dai ciamps in muel,
viarz la grava, sivilant a ni dis che la not a è tornada
al siò post. Adès ch’a à sbalat dal dut, i lamps
a si son cuietàts e i tons dispiarduts tal fîl di un recuard.
E jo, riparat sot di ‘na linda, cu li’ scarpis stonfis di aga
e pantan, ‘i mi comèdi a la buna un sfris veciu
ch’al tuca e no si siara, ‘na firìda ch’a spurga
e che a stropâ enciamò ‘i no rivi.
 
Francesco Indrigo
 
 

Come se la pioggia dovesse spegnersi nei fossi / di noi. E le stelle in fondo al sentiero del temporale / potessero brillare solitarie. Come se il vento / acceso sulle cove del salmastro sciogliesse le briglie / per attraversarci gli orti e le vertebre. Invece anche lui / costretto da una cavezza, ammaestrato da un ordine perentorio. / Ancora prima che la luna prendesse la parola, / sopra lo sgabello più alto del cielo. / Rivelami il segreto, rivelalo soltanto a me. / Così le punte degli alberi ora tacciono. / Solo la civetta più in là dei campi in ammollo, / verso i ghiareti, fischiando ci dice che la notte è ritornata / al suo posto. Ora che ha spiovuto del tutto, i lampi / si sono acquietati e i tuoni dispersi sul filo di un ricordo. / Ed io, rifugiato sotto un tetto, con le scarpe fradice d’acqua / e fango, mi aggiusto alla buona un vecchio sfregio / che pulsa e non si chiude, una ferita che scola / e che tamponare ancora non mi riesce.

 
 
 
 
Dio Non Dio
 
Forse la vera fede
è vivere con decenza
pur non essendo certi dell’esistenza di Dio
o pensando che Dio non esista.
Ed è forse così che Dio finisce o in/finisce di esistere.
D’altronde avrà anche facoltà
a sua discrezione, e con discrezione
di non esistere.
Così, a seconda dei casi
e delle pene
 
Renato Pauletto
 
 
 
 
Savitri
 
Prima è arrivata la notte
la pena è un grido di scuro alla luce.
è giunto prima il dolore
e solo dopo la gioia ha potuto esistere.
Mediante le due gemelle
di luce e tenebra
lo spirito si è svegliato dall’argilla.
E lo spirito divenne materia
e giacque nel turbine
chiusa nell’atomo la sua potenza.
 
Rita Gusso
 
 
 
 
La Domanda
si risponde con chiarezza.
Non ti scrivo da solo.
 
Manuele Morassut