Michele Paoletti su “L’imperfezione del diluvio / An Unrehearsed Flood”

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Chi frequenta il linguaggio poetico si sarà accorto che le parole, col tempo, tendono ad acquisire un peso sempre maggiore per chi scrive. Lo sa bene Sandro Pecchiari che con la sua terza raccolta, L’imperfezione del diluvio (Samuele Editore, 2015) ha compiuto un fine lavoro di sottrazione per arrivare a testi estremamente limpidi in cui ogni singolo elemento assume un valore assoluto e necessario. Le diciannove poesie bilingui compiono un percorso attraverso il dolore e ci raccontano che, per quanto le circostanze ci consentano di prepararci ad un’imminente perdita, ciò che seguirà non sarà mai stato provato abbastanza, così come il diluvio del titolo che Pecchiari ha deciso di tradurre con il vocabolo unrehearsed, termine utilizzato in campo teatrale proprio per definire le prove precedenti una rappresentazione. L’autore non si limita però ad una mera traduzione di se stesso: attraverso il passaggio dall’italiano all’inglese aggiunge senso e suono ai testi per sottolineare che il linguaggio del dolore è una cifra universale, a prescindere dal mezzo utilizzato. Le parole diventano pallonate scalciate / sulla faccia di un uomo che si trova smarrito nella sua stessa città scostante di parole dove non c’è più nessuno da incontrare e il rimanere ha il sapore amaro dell’esilio. L’intera silloge è attraversata da un inesorabile senso di vuoto che Sandro Pecchiari ha deciso di rendere anche graficamente attraverso l’uso di numerosi spazi tra le righe come le righe delle persiane che segue con le dita sulle pareti / all’alba di questa altra parte / non su di te / nell’alba da qualche altra parte. Il vuoto dilaga intorno, sulle pareti svuotate, nel patio, negli occhi del poeta e dentro dove un coltello profondo / mi mantiene in vita. Tuttavia il tempo benché stretto, accade ed è nostro compito non mantenerlo uguale, non ricalcare i giorni, non sostare troppo nell’attesa del diluvio.

Michele Paoletti