Le stanze del viaggio
Maria Luisa Calabretto
Pagine 114
Prezzo 15 euro
ISBN 979-12-81825-27-7
DISPONIBILE A BREVE
Versione online Sbac!
Prezzo 7 euro
Svaporata la sua vera sostanza, il viaggio oggi assume una dimensione turistica o agonistica, anche quando vuole spingersi nella wilderness, la natura selvaggia, osservata in sicurezza, con GPS e abbigliamento tecnico, o ricostruita tramite coinvolgenti esperienze artificiali e aumentate. Perfino la montagna non è più luogo del diavolo, inviolabile e pericolosa, legata alla fame o al sacro ma, ammantata di sublime e pittoresco, viene traversata con biciclette elettriche, telecamere on-board e suole in vibram. Non si entra più nella natura, non la si ascolta, ma si compiono gesti atletici e sportivi, spesso appresi in fretta durante corsi intensivi, per divertirsi, anche indoor.
Oppure oggi quel sogno di natura incontaminata, lontana dai rumors della vita urbana, riassume l’esigenza di ricaricare le batterie, in una sorta di ipermoderna posa teocritea. Così il viaggio diviene non un’avventura, ma un riposo mortifero dopo gli affanni domestici.
Gli antichi «sentivano naturalmente, noi sentiamo la natura», dice Schiller, poiché si è prodotta una frattura tra noi e l’ambiente. Quando ci preoccupiamo di salvarlo, in realtà siamo preoccupati per noi, perché il pianeta certamente ci sopravviverà e continuerà a inoltrarsi nel tempo profondo che la nostra giovane specie non riesce neppure a immaginare. Siamo situati nell’ambiente, in ciò che ci circonda, eppure la natura è sparita, o consumata. Non che voglia il nostro bene, ma fa parte del nostro stare al mondo.
Aprendo il libro di Maria Luisa Calabretto, biologa di formazione, si entra in un’altra tonalità di sentire. Le stanze del viaggio non sono un carnet dei suoi viaggi più interessanti (dalla Lapponia alla Croazia, dallo Utah al New Mexico, dall’Iran a Mosca, dalla Grecia alle Alpi, dall’Egitto alla Francia); le poesie non sono nemmeno disposte in ordine cronologico e non tracciano un tempo di crescita interiore. Sono stanze, verrebbe da dire strofe di un unico viaggio, oppure stanze della memoria che abita un’unica mente. Ma non sono nemmeno semplici ricordi che emergono dall’archivio del passato o lo sono solo perché colgono quel passato nel punto in cui affiora insieme a tutte le possibilità: manifestandosi, un ricordo proietta la sua ombra nel passato, gli restituisce la sua possibilità, lo fa diventare nuovo e vivo. Un incontro, un oggetto, una parola che nel presente ci appaiano inafferrabili finiscono come resti nel passato, cioè come qualcosa di ancora possibile in ogni istante. Quante cose perdiamo ogni giorno, quanta memoria è perduta, ma quello che resta, quello che della vita e della lingua si salva dalla rovina, parla per il perduto. Non solo: del perduto dice il suo (e il nostro) desiderio di non essere scordato e di accordarsi al vivente che ci sovrasta e al quale tendiamo.
Roberto Cescon
Suomi
Lo spazio coperto di neve,
la curva lontana delle antiche colline
bianche in alto,
in basso brune di alberi radi,
solo un fruscio il movimento sul binario,
l’orizzonte spalancato
all’estremità della terra.
Kiilopää (Lapponia finlandese),
10 marzo 2012
Holmenkollen
Scivolano eleganti,
salgono le colline senza sforzo,
poi scendono veloci a sci uniti
scavalcando incredibili strettoie
in mezzo agli alberi,
vestiti di niente:
un maglione fatto a mano,
vecchi sci consumati.
Ci sono anch’io, maldestra,
sulle colline di Holmenkollen
e arranco senza fiato.
Ma sono una di loro,
catturo una parola e cerco di capirla,
ripeterla nel ritmo
del mio passo alternato.
Oslo (Norvegia),
26 febbraio 2016
Cuori
Diecimila chilometri a sud
per vedere la luna a barchetta
e raccogliere piccoli cuori
traforati da piccole vite,
poi scoprire un cuore di cielo
spalancato in mezzo alle fronde.
I coralli spezzati dall’onda
feriscono i piedi
e si impara a nuotare leggeri
dentro i vicoli della barriera,
lungo i vasi che portano al cuore.
Mauritius,
28 luglio 2023