Laboratori critici su Pordenoneleggepoesia


da Pordenoneleggepoesia
 

1.
Se dovessi descrivere Carlo Bordini pensando ai nostri incontri (quasi sempre in estate, davanti al Pantheon, e poi a prendere un gelato: mi sa che era goloso, come me) vengono in mente coppie di opposti, o quasi opposti, senza alcuna possibilità di sintesi (e che potremmo accostare al suo universo poetico): cogitabondo e assonnato, candido e beffardo, prossimo e sideralmente distante, distratto e ossessivo, incantato e disilluso, fragile e misteriosamente invulnerabile. Proprio con la scrittura cerca di attraversare gli opposti per cercare non il giusto mezzo ma una prospettiva straniante, che li ricomprenda e forse li oltrepassi.

 

2.
Bordini ci ricorda che nella nostra tradizione, da Dante in poi, “ragionare” è sinonimo di “poetare”. Almeno in un caso ci informa proprio che sta pensando: «Questo penso quando contemplo / Le immagini fulgenti del mezzogiorno» (Marina, da Poema inutile). Ma il suo ragionare consiste non tanto e solo nei molti pensieri, interrogativi e aforismi che costellano i suoi componimenti quanto in un ritmo (governato da una punteggiatura spiazzante), in un respiro, in una coloritura acustica, in un “singhiozzare” marino (così come l’intera poesia di Amelia Rosselli si offre come un inesausto “ragionare”). Tutta la poesia di Bordini ha un ritmo ipnotico, rallentato, scandito anche graficamente (va letta come uno spartito), un moto circolare ondoso vicino alla stasi. È addormentata dal sole come le cicale. Leggendola entriamo in un mulinello di polvere. In pochissimi altri autori percepisco, direi fisicamente, il legame tra sono e senso. I suo versi stessi sono polvere, così come – ci ricorda – noi siamo fatti di polvere, ossia una materia friabile suddivisa in tante particelle incoerenti, disuguali. Una polvere che appartiene al mondo, non solo a lui, e che lui si limita a riordinare e risistemare in mucchietti. E comunque: potremmo definirlo un ragionante dormiveglia, un letargo speculativo, una controra pensosa.

 

3.
Ho l’impressione che chi – della poesia di Bordini – sottolinei troppo l’ironia o anche il comico sia lievemente fuori strada. Comico e tragico appartengono già a un giudizio sulle cose, ad uno starne al di sopra. Lui invece vuole restare rigorosamente all’altezza delle cose stesse. Solo Dio può essere sarcastico, anzi «molto sarcastico» (Polvere, da Polvere), noi no. Bordini, come le sua poesia, è esattamente quello che appare (nessuna dissimulazione, nessuna ambiguità o connotazione antifrastica). Mi viene in mente il vescovo settecentesco Joseph Butler che rivendicava i diritti dell’apparenza, e che una volta scrisse che «le cose e le azioni sono ciò che sono» (poi, come sappiamo, è venuta tutta la Scuola del sospetto e della demistificazione, che invece all’apparenza concede pochissimo).

Filippo La Porta

 
 
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