I rami, i morti, i canti – Francesca Saladino



 
 
I rami, i morti, i canti
Francesca Saladino
Pagine 76
Prezzo 13 €
ISBN 978-88-94944-82-2
 
 


 
 
Versione online Sbac!
Prezzo 4 euro


 
 

Poesia delle piccole cose, la realtà proposta dai versi della Saladino si innesta sulla linea dello sguardo onesto del poeta che vive e sente l’esistenza in rapporto con una natura a tratti selvaggia e distante, a tratti comprensiva e amica. Le immagini, pulite e prive di orpelli retorici, si affastellano nel discorso lirico costruendo una impalcatura sentimentale in cui il lettore si culla anche quando il dolore sembra l’assoluto protagonista di un sentire ineluttabile. Non c’è mistero dietro ciò che si vede, non esiste una metafisica celata, una risposta da svelare: l’occhio guarda e descrive, la morte arriva mentre si “mangia un gelato”, l’uomo è un animale sociale che nel dialogo metaforico costante con la fauna urbana ed extraurbana (piccioli, insetti, cani randagi, vacche) svela se stesso, si conosce negli aspetti più istintivi e violenti, nelle passioni più coinvolgenti, sfuggenti alla razionalità dietro cui si nasconde l’essere umano.

dalla prefazione di
Eleonora Rimolo

 
 
 
 
Ho sognato la tua risata in cucina
questa mattina in dormiveglia,
la neve cadeva sulle arance
ma si scioglieva ancora prima di toccarle.
Così tu rimanevi nel mio letto
come neve sull’arancio.
 
 
 
 
 
 
Vorrei avere una finestra
da cui guardare gli alberi,
a destra la vita che abita gli abeti,
a sinistra gli aceri.
 
Loro ed io
a distanza di tenerezza.
 
 
 
 
 
 
La tua lampada in soggiorno
coi cavi rotti, messa dritta
in piedi, non illumina più.
Non ho lasciato un buon ricordo di me,
non ho preteso un buon ricordo di me,
come di una creatura zoppicante
che per un caso fortuito non nacque morta.
Anche il cane a tre zampe sotto al gazebo,
privato delle carezze umane,
sognava allo stesso identico modo,
distrutto come chi lascia orme pari
su fango e neve fuori alla porta
quando il giorno smaschera l’inverno
sfoggiando un sole imbarazzante.
 
 
 
 
 
 
La quinta figlia femmina
legata nella stalla
di fianco alle mucche
ha dovuto imparare
a infilare il dito nell’ano
della gallina – per sentirne l’uovo.
Sfilare nuda
con gli scarafaggi in testa.
Scuoiare conigli
e farsi piacere le cavallette.
 
Ecco,
la nostra condizione per essere amati.
 
 
 
 
 
 
Ho due diavoli sulle spalle
che mi spezzano il collo a colpi
sul bordo del tavolo a cui siedo con lei.
Mi girano orecchie e piedi,
mi spostano i nei ridendo di noi
e non puoi più riconoscermi. Loro
hanno il profumo del primo vitello
che ho mangiato piangendo,
profumo di alloro. Si leccano i calli,
masticano poco vecchio tabacco
e fanghiglia mista a feci.
Me lo sputano in bocca
imitando i piccioni coi loro piccoli.
Io lo ingoio tutto, avida e putrida,
nuda in un angolo come i polli,
come una vacca il giorno del macello,
a contarmi i capelli, a tirarmi i denti.