Giulia, l’Evaso e la Verfallenheit – Andrea Cozzarini, Letizia Gava, Alessandro Stoppa

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Giulia, l’Evaso e la Verfallenheit
Andrea Cozzarini, Letizia Gava, Alessandro Stoppa
Pagine 96
Prezzo 13 euro
ISBN 978-88-94944-64-8
 
 


 
 

I tre autori di questo libro si muovono a partire dagli autori cui sono più affezionati, tra i quali Mario Benedetti: l’incontro con la sua poesia è forse stato il più decisivo. Lo si intuisce dalla sintassi, che sospende le figure evocate nelle scene, e dalla voglia di allungare i versi, auscoltandone il ritmo interno. Eppure le ossessioni e il portato della memoria è tutto loro.

Alla ricerca dell’evaso (o quasi morto) di Letizia Gava è un tranche de fiction, un casus quasi allegorico che inscena una ricerca.

Giulia e altre poesie di Andrea Cozzarini si apre con una corona di testi sulla figura di Giulia, costruita per lampi frammentari, dai quali traluce l’inquietudine rappresa, specchio di quel morbido fermento con cui un altro personaggio (un io che appare a un certo punto) evoca la relazione con lei, tra la casa e uno scorciato sfondo urbano.

Il nostro futuro è dove rimani di Alessandro Stoppa è un misurato gruppo di testi intensi, per la maggior parte caratterizzati da un sinuoso movimento dei versi lunghi e dalla figura della ripetizione. Si ha l’impressione di essere di fronte a una voce che non sa collocarsi nel tempo, non procede verso alcun orizzonte, neppure quello della memoria.

Roberto Cescon

 
 
 
 
da Alla ricerca dell’evaso (o quasi morto) di Letizia Gava
 
 
Il principio della ricerca non ricordo più,
solo che già troppe volte in un anno
l’avevo visto cambiare strada, passo o senso
a incrociarlo a piedi, o andar via, come entravo,
e senza salutare gli amici che erano iniseme,
sempre fingendo di essere solo e serio,
anche senza pagare una volta, che poi l’oste
mi hanno detto gliene fece il doppio di lire,
e ancora oggi racconta come quel giorno
ha perso il buonumore e poi sempre di lì,
ho sentito da altri, lasciava due lire in più.
 
 
 
 
Ma negli ultimi tempi non si vedeva più,
non solo io, che, ormai è certo, evitava,
ma anche gli altri, che lo aspettavano ormai
da molto per le carte o il vino, dicevano
che forse era morto e bisognava andare a vedere,
che, può darsi, il corpo marciva già da giorni
in uno scantinato o morto dove di quale morte.
Poi sempre un’altra voce era a dire che no,
non poteva mica essere, e poi nessuno lì
si sapeva dove abitava o lavorava per avere
sempre quelle due lire in più, e tanto sarebbe
tornato a dirsele con l’oste, giorno più o meno.
 
 
 
 
 
 
da Giulia e altre poesie di Andrea Cozzarini
 
 
Poi Giulia torna a casa
la macchina non le piace, è come se spiasse
può guardare ma non si sente
tranquilla, e tutto cambia di posto:
anch’io nei suoi occhi sembro
Jesse James o una petunia
 
 
 
 
Don’t go breaking my heart
canta Giulia e la radio
risponde: non potrei
se volessi. La notte
si apre come un’albicocca
come la sua gonna, quando balla e riempie di fiori
il pavimento che reclina, i bicchieri
madidi di gioia
le mie mani
che non coprono più
 
 
 
 
 
 
da Verfallenheit di Alessandro Stoppa
 
 
Il nostro futuro è dove rimani
 
Il passaggio quasi obbligato, davanti a quella che era stata
la breve dimora di Leopardi. Si apre, via Santo Stefano
nel livore notturno, nei passi appesantiti dal rimpianto,
io che faccio ritorno, e le parole ancora non dette.
Riguardo i mattoni e le volte, le serrande e i pochi
che tornano insieme, e di nuovo le molte stelle
di una notte senza fiato. Eravamo silenzio nella stanza,
volti immaginati a lungo, nelle sere
del sonno mancato, era un attento scegliere
gesto dopo gesto, alzarsi, ritentare, sedersi. Ogni notte
un suono inclinato, un ignorare di sguardi.
Stava a dire che è impensabile, ad ampliare il disamore.
 
 
 
 
Vado a letto più tardi, le notti che lavora
mia madre pesante sui ginocchi
esasperata vita che vuol esser vissuta
per le sigarette di rito, al mattino, un’ora o poco meno
prima che io mi alzi. Non ci incrociamo dunque,
ma è come se l’attesa del sonno protratta
fosse il saluto che non riusciamo a scambiarci.
Leggo, perlopiù cose in versi, le stesse identiche cose
di qualche anno fa. Questo perché non ricambio
lo scaffale che ha l’aria di esser completo
e allora la notte, aspettando, ripeto
quelli che sono i versi migliori, che bastano
a parlare al suo cuore. «Una breve finestra nel cielo tranquillo
calma il…»; un rumore tradisce il suo passo
poco fuori la stanza. È tornata e non sa se dormire.