Eucariota su Treccani


 
Da Treccani
 
 

C’è un male incurabile che ci sta invadendo ammalandoci un poco alla volta. Non è fisico, tangibile, per quanto sul corpo sovente si ripercuota. Più sociale, verrebbe da dire, umano: parliamo di quel lento sgretolarsi che un’intera generazione sta subendo (e alimentando) nel prendere progressivamente coscienza di una sua impossibilità in un mondo peggiorato dieci volte e senza spiragli d’arresto. Un mondo che sorride mentre ha la schiena in fiamme, che si acconcia nascondendo sotto il velo brutture che continuano a masticarlo da dentro. Un mondo, senza troppi giri, invivibile a meno di finzioni. Ci sono due opere poetiche che porto in tasca da giorni senza capacità di disfarmene con tutti i dolori e le riflessioni che il peso comporta: mi riferisco al Non sappiamo come continuare autoprodotto da un Demetrio Marra in aperta polemica con un certo mondo editoriale e all’Eucariota di Giuseppe Nibali (Pordenonelegge-Samuele Editore), specchi (istantanee perfino) di un tempo che crolla senza rimedi.

Matrioska di fallimenti

Dietro la menzognera faccia di un mondo social da anglicismi e tempo introvabile, da prestazioni muscolari pagate in visibilità e precariati da espiare quotidianamente nel segreto del proprio monolocale (quando e se estremamente fortunati) c’è tutto un patire di persone non più adolescenti ma impossibilitate ad entrare in un’età adulta classificata nei crismi del consueto. Troppi smottamenti, troppe ferite: fare finta accelererebbe la morte. Meglio guardare dunque i fatti nella loro forma più sincera: è l’onesta nella penna il primo dei meriti di Nibali e Marra in una matrioska di fallimenti (come meravigliosamente detto da Milleri nella prefazione del secondo testo) che contrassegna un gruppo di trentenni cangianti e mutaforma in un contenitore troppo liquido che scioglie senza mai dare parvenze di solidità. Inutile lo sforzo pirandelliano di fabbricarsi una vita: l’errore parte dalla radice. Troppe famiglie sfilacciate in un tempo che di familiare ha ben poco: alla tavola che aggiunge posti e sfama Marra fa subentrare il pensiero in lontananza di chi, esiliato per scelta o incompatibilità, può solo sperare che le cose altrove continuino a vigere in qualche modo («Non si vivrà più assieme. / Solo che questi anni qui passati a non scusarmi / tra le vie che portano a Roma e a Reggio / purché mi diate i soldi / – con quanti strati di ironia sto parlando?»).

Graziano Gala

 
 
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