Cossa vustu che te diga ne l’Huffingtonpost


 
 
da l’Huffingtonpost
 
 
Sirena, cartellino, timbrare, tappi nelle orecchie, scarpe antinfortunistica, reparto, impianti, linea, semiassi, trucioli, saldare sono alcune delle parole o dei fior (come sopra, ricordate?) nati, invece, da una poesia fatta di concretezza, che lotta e lo fa denunciando qui e ora la perdita del lavoro per una transizione ancora non compiutamente avvenuta dalla novecentesca economia dei distretti industriali, passaggio che da almeno vent’anni sta impoverendo (ex) operai e interi territori, tra delocalizzazioni e chiusure. Il Working Class Poetry Slam, organizzato dal collettivo poetico Ripescati dalla Piena, si è tenuto nello scorso maggio alla Casa del Popolo il Progresso di Firenze, con la partecipazione di alcuni tra i principali slammer italiani: Francesca Gironi, Giacomo Sandron, Filippo Balestra, Eugenia Galli, Andrea Bonomi e Gabriele Bonafoni.

 

Impossibile riportare tutte le poesie orali, ma ecco due estratti dal testo di Sandron – che utilizza anche il dialetto, rivendicando una realtà in cui ancora esistono classi – e Gironi – che innesta parole in inglese, ricordandoci come questa nuova era del capitalismo, lavorativamente parlando, tenda a un linguaggio anglofono tecnologico- essenziale: 

 

da Giacomo Sandron, Cossa vustu che te diga (Samuele Editore, Pordenone, 2014)

 

Cinque minuti prima dell’inizio

bisogna stare già al proprio posto

aspettando che suoni la sirena

marchiato il cartellino con i tappi nelle orecchie

ci si mette il cuore in pace e si comincia

 

otto ore filate più una per il pranzo per contratto

ci dovrebbero dare un paio di scarpe antinfortunistica

e dei guanti ma niente allora le mani

cominciano a tagliarsi dal primo mattino

si ricuciono e riaprono conficcate dai cartoni

la lentezza con cui si cicatrizzano

sta lì a significare la pazienza che ci vuole

questa lotta si vince al collasso di una delle parti

allo stesso tempo diventare il loro tempo e combatterlo

ritagliarselo chiudersi nel bagno come scampo tenere duro

arrotolarsi le cicche prendersi un caffé senza timbrare

ingoiare arrotondare la mezzora de scondiòn

 
 
 
 

A linea xe come ‘na mama

che sempre te rompe i cojoni,

mai te mola, mai te lassa star,

no se stanca, no sta ferma, no sta sita

ta i nidi dee recie se rabalta

un casin sensa fin, sensa pase,

un martel inciodà inte ‘l ciaf

che no ‘l tase, e paroe e sbrissia in goa

e se stua scafoiando, i denti

 

[…]
 
Continua su l’Huffingtonpost