Corpi solubili sull’Huffington Post


 
da Huffington Post
 
 

«Ed è lì che ritorna, senza nomi stavolta, la risacca del mattino / della memoria di tutti, nei lavori dove sono distrutti antecedenti».
Ci sono versi che sono destinati a restare nella nostra memoria per sempre, a ritornare di tanto in tanto, conservando quella sorta di mistero, di margine insondabile e – infine – di conforto. Perché se ritornano è di sicuro per la loro bellezza, ma soprattutto perché ci riguardano, sono entrati da qualche parte dentro di noi al punto di non appartenere più (soltanto) all’immaginario del poeta che li ha scritti ma al nostro. Quelle parole lette una prima volta diversi anni fa ci hanno interrogato come se le avessimo pensate noi, ci hanno spiegato qualcosa che ha a che fare con la nostra parte più nascosta, più intima. Quei versi siamo noi e fanno parte del nostro modo di guardare il mondo. Ora, questa faccenda non capita spesso, solo ogni tanto se siamo molto fortunati, a me per esempio è capitato con due versi di Mario De Santis, questi: «Si diventa così, capaci di abitare / le città, perché è capace solo l’abbandono». Li ho letti per la prima volta anni fa, mi trovavo su un treno che viaggiava da Milano a Venezia e quelle parole mi trovarono, e mentre mi folgoravano per il suono, per la loro capacità evocativa, mi interrogavano e aprivano almeno a due ragionamenti. Ragionamenti che non ho ancora portato a compimento, nemmeno ora che ritrovo quei due versi in chiusura di una delle bellissime poesie contenute in Corpi solubili (Pordenonelegge, Samuele Editore, 2023) il nuovo libro di Mario De Santis.

Gianni Montieri

 
 
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