Clone 2.0 sull’Almanacco Letterario



 
 
Da L’Almanacco Letterario
 

All’interno del dibattito sull’intelligenza artificiale e il suo utilizzo in letteratura si è inserito con notevole interesse l’esperimento di Vincenzo Della Mea, Clone 2.0, pubblicato dalla collana Gialla di Pordenonelegge, curato da Samuele Editore e dato alle stampe in occasione della sua più recente edizione. I testi di Clone (si legge della nota tecnica dell’autore) «sono stati generati con reti neurali addestrate […] su un corpus di poesie italiane. L’Autore ha poi filtrato gli esiti con altro software appositamente sviluppato, e infine ha selezionato a suo gusto i testi ritenuti più significativi, inclusi gli esergo. Il modello utilizzato è basato sull’architettura GPT-2 di OpenAI, partendo da un modello preaddestrato sulla lingua italiana da L. De Mattei et al. Addestramento e generazione di testi sono stati effettuati utilizzando il software Aitextgen di Max Woolf ».

Va doverosamente ricordato che Vincenzo Della Mea oltre a essere un ottimo poeta (in grado quindi di compiere un’accurata selezione sia dei testi da proporre alla macchina, sia del suo prodotto finale), è anche professore associato di Informatica Medica presso l’Università di Udine e ha quindi tutte le competenze per addestrare la macchina permettendo di immagazzinare dati e creare sinapsi, un poco come avviene nella formazione cognitiva del nostro cervello.

È un dato e una sorta di preoccupazione collettiva che oggi molte professioni di intelletto possano e in parte siano già state soppiantate dalla scrittura artificiale, si guardi a esempio la produzione di manuali o le traduzioni in ambito scientifico, ma non solo: da più parti è stato rimarcato l’allarme delle tesi compilative generate nelle Università tramite l’intelligenza artificiale. Certo sono lontani i tempi delle costruzioni enciclopediche pagina per pagina, interconnessione per interconnessione ma la paura di essere soppiantati nel ruolo intellettuale collettivo è evidentemente tanta.

È solo di poche settimane fa la class action verso OpenAI intrapresa da un lungo elenco di scrittori americani tra i cui i noti John Grisham e George R. R. Martin. I modelli linguistici «mettono in pericolo la capacità degli scrittori di narrativa di guadagnarsi da vivere, in quanto consentono a chiunque di generare automaticamente e gratuitamente (o a costi molto bassi) testi per i quali altrimenti dovrebbero pagare gli autori», sostengono gli avvocati nella denuncia.

Ma tornando al tema di partenza cosa ha prodotto l’esperimento di Della Mea? Dal punto di vista dei testi potrei ragionevolmente osservare come la densità non sia dissimile o inferiore a quella presente nella buona parte delle riviste online o sui social (con doverose distinzioni), ma questo non dipende dalla capacità ingegneristica del nostro e nemmeno dalla qualità dei testi proposti all’intelligenza artificiale per creare la propria base operativa. Quello che manca e che sarà estremamente difficile trovare in un meccanismo sintetico anche in futuro va sotto il nome di scarto semantico, quella spinta alla difformità che in tempi di omologazione, anche nel campo della scrittura, definisce le opere in grado di rimanere.

Matteo Fantuzzi

 
 
Continua su L’Almanacco Letterario