Canti metropolitani – Rossella Luongo

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978-88-96526-01-9
 
ESAURITO
 

Al centro dei “Canti metropolitani” di Rossella Luongo, si pone la mitologia del quotidiano, còlta nel suo paesaggio privilegiato, quello urbano: con i suoi interni (case, negozi, bar) ed i suoi esterni (strade, piazze, quartieri), dove acquistano rilievo le estensioni di quella società dei consumi e dell’apparire che ci assedia e che tende a svuotarci di ogni personalità dentro l’inarrestabile implosione del fenomeno della globalizzazione che passa attraverso la televisione, i mass media, la rete. Nel “villaggio urbano” dominato dal cemento e condizionato da una somma di “periferie” il discorso della poesia contempla e comprende la denuncia implicita di un processo di contaminazione, di inquinamento, peggio di decomposizione, della natura e dell’uomo; in una originale chiave illuministica al femminile in cui l’intelligenza è costantemente l’altra faccia della sensibilità e la scrittura, precisa e minuta, il complemento di una disposizione per altro istintiva all’immaginazione.
Dominante, nella poesia di Rossella Luongo, è la componente angosciosa (anche se continuamente esorcizzata attraverso le immagini); quella appunto che deriva da una lucida analisi della realtà, dalla conoscenza e dalla consapevolezza del suo degrado, di una progressiva alienazione che si è impadronita dell’uomo. E c’è tuttavia l’innescarsi, in questo quadro in partenza negativo, di una speranza, di una possibilità di salvezza, legata all’ottimismo della volontà contro il pessimismo dell’intelligenza. E, in chiave di comunità, si intendono sottolineare come determinanti e potenzialmente salvifici i rapporti tra gli individui (parole d’amore o di amicizia o di compartecipazione sono le occasioni vincenti). E i rapporti tra le persone (nei legami di sangue, di affetto e d’amore, di simpatia, di solidarietà) possono ribaltare, in qualsiasi momento e contro ogni apparenza contraria, la situazione con la forza rigeneratrice della loro umanità.

Paolo Ruffilli

 
 
 
 
Radice
 
Filare di luci nella prima sera
un obelisco sui colli stanchi
innalzato, serpeggia al cielo.
Tua fui, mia radice
umida marcescente in terra
amara ti raggiungo, sulle anime
pie l’imbrunire scalzo
ancora lava la coscienza
plumbea, dal cieco riscatto
azzannato dal tempo.
 
 
ESAURITO