Confidenze agli sconosciuti
Laura Morandi
Pagine 66
Prezzo 15 euro
ISBN 979-12-81825-26-0
Versione online Sbac!
Prezzo 7 euro
Un libro di poesie che inizia con una prosa. Non è un paradosso, non in una contemporaneità che insiste nel mettere in discussione i confini tra le scritture in versi e in prosa, ricavandone poco e incartandosi molto. La differenza, qui, sta nel fatto che la prosa iniziale è bellissima. Un breve programma di lettura a fuoco, calibrato; un piccolo manifesto.
A questa osservazione bisogna aggiungere che anche il titolo della raccolta, Confidenze agli sconosciuti, è azzeccato ed efficace, molto poco da libro di poesie e quindi molto sincero e immediato. Perché confidarsi davanti a sconosciuti, che in molti casi neppure si possono vedere perché nascosti dall’altra parte del testo, che cos’è se non una delle possibili definizioni di poesia?
Con la sua raccolta di esordio, Laura Morandi si inserisce nel solco di una tradizione confessionale e diaristica della scrittura in versi, ma aggiornandola con il punto di vista, le parole e le urgenze di una giovane donna che ha attraversato questo primo quarto di secolo e si è ritrovata, come molti di noi, a stemperare l’entusiasmo per i prossimi quarti che dovranno venire – se tutto va bene. C’è, infatti, un’atmosfera generazionale in Confidenze agli sconosciuti o, meglio, ci sono molte delle inquietudini legate a una certa fase della vita, quella in cui il mondo cerca di far prendere una piega, ma non sempre il materiale di cui si è fatti collabora o è duttile abbastanza. Ed è lì – forse da sempre, ma di sicuro dalla fine delle illusioni dei trenta gloriosi (ma diciamo pure quaranta) – che si situa la crisi che uno spirito creativo non può fare a meno di registrare.
Qualcuno le definirebbe inquietudini giovanili, ma forse uno dei meriti di Confidenze agli sconosciuti è di registrare in forma di poesia il fenomeno di una giovinezza trascinata ben oltre i suoi confini anagrafici tradizionali (e di buon senso, verrebbe da dire), ma non per immaturità dei nuovi adulti, bensì per condizioni che reprimono la crescita e il passaggio ad altro stato, un po’ come accade ai bonsai in bottiglia. D’altronde la giovinezza è l’arma più terribile nelle mani degli adulti, perché chi è giovane – a meno che non sia straordinario, che di solito significa campione dei valori dominanti – non va preso sul serio fino in fondo. E allora, più che di inquietudini giovanili, si dovrà parlare di malessere dell’epoca.
da Tristiefelici nello stesso momento: Laura Morandi
tra inquietudine e salvezze minime
di Marco Bini
21 novembre 2021
Mi piace che sia buio e sia ancora giorno. Mi fa pensare che è così che va in fondo: che in quello che vedi c’è del margine, che quello che vedi ti frega, a volte. Cammino nel giorno buio e scivolo in una dimensione intima che non si manifesta come scatola o cameretta, ma come spazio aperto, con le vetrine dei negozi che emanano luce da lanterna. Come se potessi confessarmi con tutti. Come se tutti lo volessero. Gli alberi dei viali. I commercianti. Sono talmente piena di confidenze che mi servirebbe uno sconosciuto, di quelli che incontri sui treni, per svuotarmi. È probabile che se aggiungessi qualche sottrazione alla ghiaia che si sfrega (oggi sono giardino o aiuola) e me ne levassi un po’, di sassi, sarebbe più morbido – coesistere.
(NdA. Ogni esistenza è una coesistenza)
Non sono densa
– dappertutto
allo stesso modo.
Ho il numero d’anime
giusto
per concimarci
i vigneti
che vedo pendere – obliqui
sui colli.
Metti uno sparo nel petto
nel lato giusto, quello col
ritmo
e sicuro ti esplodo in
coriandoli
che sono – cartacce
importanti
(come le lettere e i
progetti).
La capacità dell’aglio
di crescere nell’abbandono
di fare del vuoto
germoglio, e fregarsene
del resto, che non sta nel
bello
ma in un frigo grigio
scarno, è la stessa che vorrei
io:
nonostante tutto
trovare alimento.
Tutte quelle luci, gli sbadigli e il pangrattato dato
agli uccelli; i quadri appesi senza cornici
che pendono dagli occhi coi ganci;
sui sentieri del fegato incontri
l’aria alcolica dei manifesti
elettorali che si lasciano marcire
dalla pioggia.
È lo stesso culto, al muro, dei film
sulle locandine: farsi sciupare senza prendersela.
che se vuoi scrostarli e poi liberarli serve
grattarci sotto col coltello. A farlo sembra
di forzare una frattura
illegale, ne senti il male inanimato tracciato
dall’archeologia dei graffi. Son quelli,
i graffi di quel modo, di cui m’appunto la lezione
da usare a poco a poco per scollare
te – me, farci avanzo
dello scheletro in ferro
che mi sfiorisce ruggine all’altezza del
petto.