Viaggi nell’esistenza su SoloLibri.net

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Filippo Passeo è alla sua ottava opera di poesia, Viaggi nell’esistenza (Samuele editore, 2020, pp. 116) con la prefazione di Fabrizio Bregoli. Nella nota biografica dell’autore scopriamo che ogni notte egli scrive una poesia. Come dice un proverbio “la notte porta consiglio”, in questo caso risveglia la creatività di cui il poeta si nutre e nutre noi. L’esistenza è sua, ma anche universale:

“Dentro di me, / un me da individuale a universale, dicono, / ma ogni vita ha o vuole la sua poesia”.

Racconta il grande viaggio che porta alla conoscenza attraverso l’esperienza. Il viaggio è la metafora compiuta, nella storia letteraria, da Ulisse, Dante, dal Pellegrino cherubico (Angelo Silesio), dal Siddharta di Hesse, tanto per citare gli esempi più emblematici; viaggio capace di avvicinarci il più possibile alla meta e per ogni pellegrino, per il “viator” che tutti siamo, e anche per Passeo la meta è il “me stesso”, a cui il poeta allude, immaginandosi dopo la morte del corpo:

“Il me stesso con i pensieri veri / libero attorno allo scheletro, / non proprio la psyché greca, / l’anima cristiana o l’atman vedico. / Il me stesso, / che avrà un tempo che non si consuma, / non quello con gli zoccoli sulla carne”.

Una meta mistica di unione con l’infinito, ma assolutamente non dogmatica. Parto quindi dalla “causa finale” di questo bel libro che avvince e commuove, perché nel suo andare l’autore si fa carico del dolore individuale, il suo, comprende che il dolore va accettato, va accettata la perdita e l’addio, l’andare lontano:

“Invece, si sa, il tempo porta sempre addii. / I figli sparpagliati e lontani… / Vendesti la terra, la poesia, la musica, un po’ d’amore, / ma il profumo delle zagare no, / custodito in una tasca interna a sinistra della giacca.”

Ma lo fa anche con uno sguardo costantemente partecipe verso la sorte degli ultimi, i migranti sradicati e sconfitti dalla Storia, i bambini condannati a subire la guerra, il freddo. Tutto ciò significa spersonalizzazione, disumanità. Il Dio di tutti se ne fa carico, ma anche il poeta se ne incarica divenendo apostolo, in greco apóstolos, derivazione di apostéllō, “mando”; l’inviato è il testimone. Bellissima tale funzione del poeta, antico ruolo di cantore, ponte tra cielo e terra

Graziella Atzori

 

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